21 Luglio 2014

Gaza: la strage di Shajaiya e i missili di Hamas

Gaza: la strage di Shajaiya e i missili di Hamas
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«Altro che operazione chirurgica… una maledetta operazione chirurgica», è la frase che il segretario di Stato John Kerry si lascia sfuggire, o fa volutamente filtrare, a microfoni che credeva spenti, rispondendo a domande sulla guerra di Gaza. E in effetti l’attacco dell’esercito israeliano di ieri a Shajaiya, sobborgo di Gaza City, è stato tutt’altro: bombardamenti a tappeto, da terra e dal cielo, con assalto di carri e fanteria in un agglomerato urbano che ribolliva di gente. Il bilancio finale delle vittime è di 100 morti, 87 palestinesi – compresi donne, vecchi e, al solito, bambini – e 13 militari israeliani. Una follia. Le cronache parlano di gente che abbandonava le case sotto le bombe, di corsa, per andare ad ammassarsi nei rifugi dell’Unwra, la sezione palestinese dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu.

La macelleria di Gaza continua. «Andremo fino in fondo», ripete Netanyahu come un mantra ipnotico, del quale sembra prigioniero anzitutto lui stesso. Loro lanciano i razzi, spiega a chi chiede, noi dobbiamo difenderci. Che ha una sua logica, ma esclude cose molto più logiche come la ricerca seria di alternative diplomatiche che pongano fine a questa follia.

In effetti Bibi non sembra molto interessato a queste ultime, almeno stando ai fatti. Finora l’unico tentativo di negoziato è stato quello avvenuto tramite l’Egitto lunedì scorso, ma si è visto, ne abbiamo scritto in precedenza, come fosse in realtà senza alcuna consistenza, stante l’assenza di contatti veri con Hamas (la pace si fa negoziando con i nemici). Dopo quel giorno di doppi giochi incrociati, Hamas si è detto disposto a trattare, dicendosi disposta a una tregua di dieci anni (e sono tanti per i tempi mediorientali) in cambio di alcune concessioni: fine dell’embargo su Gaza, riapertura dei valichi con l’Egitto, rilascio dei miliziani arrestati durante la ricerca dei tre ragazzi israeliani rapiti (ai quali, tra l’altro, non si imputano accuse specifiche riguardo il crimine, e allora perché arrestarli?). Una base per iniziare una trattativa seria, se si fosse voluto, che prevede concessioni e dinieghi. Eppure il governo di Israele non ha preso nemmeno in considerazione l’ipotesi.

Si legge infatti in un articolo del 19 luglio di Davide Frattini per il Corriere della Sera: «Da martedì, da quando è fallito il tentativo dei generali egiziani di far ingoiare a Hamas il cessate il fuoco e la carta su cui sta scritto, il governo israeliano dà il via a una serie di mosse per depistare i leader fondamentalisti. Accetta di inviare al Cairo una delegazione che provi a negoziare la calma, lascia intendere di sostenere i tentativi del presidente palestinese Abu Mazen, diffonde gli umori di Netanyahu come fumogeni di copertura: il primo ministro minaccia, minaccia ma vuole evitare l’invasione di terra. In realtà — ricostruisce Barak Ravid sul quotidiano locale Haaretz — il consiglio di sicurezza vota il sì all’offensiva già nella notte tra martedì e mercoledì».

Il resto è macelleria. E il numero di morti nella fila di Tsahal, quei tredici caduti che supera il totale delle vittime militari delle due precedenti guerre di Gaza, la dice lunga sulla determinazione di Israele ad «andare fino in fondo».

Certo, il lancio di missili sui civili israeliani è una minaccia reale e terribile. Ma resta il dubbio su questa strana strategia di Hamas, o di chi per loro – ormai Hamas è una sigla sotto la quale si muovono organizzazioni diverse e autonome – fondata su questo inutile lancio di razzi verso le città israeliane, che finora ha ottenuto il solo scopo di diffondere il terrore tra la popolazione ebraica e araba di Israele e di testare l’efficacia del sistema anti-balistico Iron Dome, il quale, a parte alcune eccezioni che non hanno procurato vittime,  puntualmente li intercetta. Già, strana strategia quella del lancio balistico a distanza: i miliziani di Hamas hanno missili lunghi tre metri, in grado di colpire a centinaia di chilometri, eppure non hanno in dotazione un razzo in grado di colpire le colonne di militari israeliani che si trovano a una decina di chilometri, se non meno, dai loro nascosti rifugi… eppure sarebbe più facile far passare dei lanciamissili a breve gittata che missili lunghi tre metri attraverso i tunnel sotterranei scavati alla bisogna sotto il confine egiziano. Davvero difficile spiegarsi il motivo questa scelta folle e suicida da parte dei miliziani integralisti, utile a scatenare e ad alimentare una guerra, ma totalmente inefficace a condurla. Se non fosse impossibile, sembrerebbe quasi consigliata da qualche dottor Stranamore interessato a scatenare un conflitto poco rischioso per Israele. Ma è impossibile appunto, così resta il mistero sulle logiche che abitano Hamas, prigioniera dei suoi missili, delle frange estremistiche, dei suoi sogni di “liberare” la Palestina dall’occupante israeliano.

Per un attimo quel lugubre sogno si era interrotto, e l’organizzazione islamica aveva scoperto la realtà riconciliandosi con Fatah. Un sogno interrotto da oscuri assassini che hanno sacrificato la vita di tre giovani ebrei al dio della guerra – che poi è Satana – pur di scatenare il conflitto.

Una guerra che ha trovato Netanyahu preparato, dal momento che era stato il più fiero sostenitore della fallacia di quell’accordo, che pure preludeva a un negoziato con Israele. Così che quel sacrificio umano ha avuto successo, trascinando gli ebrei e i palestinesi che avevano sperato nella pace impossibile in un nuovo incubo. Più oscuro, a stare quel mantra che si va ripetendo con ossessione ipnotica: «Andremo fino in fondo». Al fondo, si sa, non c’è fine…

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