28 Luglio 2014

Chi compra il petrolio dei terroristi?

di Fabrizio Fava
Chi compra il petrolio dei terroristi?
Tempo di lettura: 2 minuti

Da tempo le monarchie del Golfo, e altri, finanziano i gruppi armati che insanguinano la Siria e altri Paesi arabi. Tra questi gruppi si è messo in grande evidenza, per la sua assertività, l’Is, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante che alcuni mesi fa ha conquistato parte dell’Iraq e si è autoproclamato Califfato.

Una novità nell’ambito del terrorismo internazionale, dal momento che l’Is ambisce a diventare una realtà territoriale con mire egemoniche verso gli altri gruppi jihadisti. L’altra novità di questa organizzazione islamista riguarda i suoi finanziamenti: l’ambizione dell’Is, infatti, è quella di cercare fonti di sostentamento nuove, non per questo alternative, ai canali consueti. Così, nella sua repentina conquista di parte dell’Iraq, l’Is ha razziato banche ed è andato alla conquista di pozzi di petrolio e gas.

Lingotti d’oro nero riempiono il caveau degli jihadisti, che dopo aver messo le mani su importanti giacimenti di gas e greggio iracheni, hanno fatto lo stesso in Siria. L’Is ha il controllo su Raqqa e Deir Ezzor, zone ricchissime di idrocarburi, oltre che del giacimento di gas di Shaer, nei pressi di Homs, capitolato nelle mani degli estremisti circa una settimana fa, dopo una guerriglia costata 270 vite umane o forse più.

Con la caduta di Shaer gran parte delle fonti di greggio e gas siriano, il 60% circa dei giacimenti, sono ora sotto i sigilli del Califfato, che a qualcuno dovrà pur vendere queste risorse al fine di garantirsi quella solidità economica necessaria nella sua opera di espansione e rafforzamento. Una fetta dell’offerta va ai cittadini iracheni: intervistato da Asharq Al-Awsat Yamin al-Shami, esponente del ministero dell’Energia del governo ad interim dell’opposizione siriana,  ritiene che il Califfato produca 180.000 barili al giorno, vendendone parte ai ricchi iracheni (a circa 18 dollari l’uno, quando la quotazione mondiale è sopra i 100$).

Ma fermiamoci un attimo: per estrarre petrolio e gas servono macchinari e personale tecnico. Le fila dello Stato Islamico sono fatte di tagliagole: far funzionare un impianto d’estrazione è ben altra cosa che premere un grilletto. Dunque, a chi si appoggiano per questo lavoro? Oltre agli operai (minacciati/assicurati di protezione) delle raffinerie in loro possesso, sono all’opera tecnici del posto o stranieri? Se fossero stranieri, si evidenzierebbe un ulteriore ausilio estero ai terroristi.

Venendo dunque alla rimanente parte della torta dell’oro nero – e di rimbalzo al finanziamento del terrorismo internazionale – con l’ausilio di mediatori altro greggio verrebbe trasportato di contrabbando in Kurdistan, Iran e Turchia come riporta Valerie Marcel, del Chatham House di Londra, sempre su Asharq Al-Awsat; e di traffici verso l’Anatolia parla anche il sito Middle est. Da qui, il passo verso il mercato occidentale degli idrocarburi potrebbe essere alquanto breve…

Trovare notizie su questi traffici è difficile, ma un’inchiesta internazionale potrebbe riuscire a evidenziare flussi e canali. Sarebbe auspicabile, dato che si tratta di individuare direttrici di finanziamento del terrorismo internazionale che tanto sangue costa al Medio Oriente e che preoccupa, o almeno dovrebbe, anche l’Occidente.

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