30 Luglio 2014

L'ecatombe di Gaza e la guerra a Putin

L'ecatombe di Gaza e la guerra a Putin
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Sono oltre 1200 i morti e settemila i feriti di questa guerra feroce che insanguina Gaza. E dei settemila feriti parte moriranno, stante anche la situazione igenico-sanitaria della Striscia. Finora i bambini uccisi sono oltre 250. Senza contare il fatto che dalle rovine fumanti potrebbero emergere altri corpi, impossibile scavare sotto i continui bombardamenti. Rasa al suolo anche la centrale elettrica, che già lavorava a singhiozzo e l’acqua è diventata un tesoro da trovare ogni giorno. Oltre 300mila gli sfollati, una percentuale altissima sul totale della popolazione, poco più di 1.800mila abitanti. Persone che hanno perso tutto e non sanno più dove rifugiarsi, dal momento che le strutture dell’Onu sono al collasso (tra l’altro sono già 10 gli operatori delle Nazioni unite uccisi); situazione resa ancora più drammatica dall’impossibilità di uscire dal Paese, l’unico caso al mondo in cui agli sfollati di guerra è chiusa ogni via di espatrio. Situazione da ecatombe.

Questa macelleria va fermata. Lo chiede la comunità internazionale, lo chiedono i più stretti alleati di Israele, gli Stati Uniti, lo chiedono tanti ebrei di Israele e del mondo. Il terrore che attanaglia Israele a causa del lancio dei razzi di Hamas non facilita le cose. Se ad oggi, oltre ai 53 militari caduti, le vittime civili israeliane sono limitate, (tre i morti, tra cui un lavoratore straniero), nondimeno la paura che incute la pioggia di missili spinge la popolazione verso l’unica soluzione che gli viene proposta dai loro dirigenti, quella militare.

La novità di questo confronto Israele-Hamas rispetto a quelli del passato, è che certe frange estreme, ma molto influenti nella politica di Gerusalemme, sembra siano decise a chiudere i conti una volta per tutte con gli storici rivali, costi quel che costi. Si spiega così, al di là dei dettagli pretestuosi, il rifiuto dei dirigenti israeliani di aderire alle iniziative diplomatiche proposte a più riprese dalla comunità internazionale, nonostante le aperture, seppur ambigue, di Hamas. Certo, ci sono i tunnel dei terroristi che spaventano la popolazione israeliana, ma questi possono essere oggetto di trattativa, insieme alla fine dell’embargo che da anni chiude la Striscia in una morsa di ferro.

Ma non è solo la forza di certe estreme israeliane a complicare le cose. Il quadro internazionale è cambiato e alcuni elementi che hanno facilitato le trattative durante le crisi del passato sono venuti meno. Anzitutto l’Egitto, che il nuovo corso del Cairo consegna a una estrema diffidenza nei confronti di Hamas. Poi il fatto che alcuni degli attuali mediatori sono alquanto ambigui: sia il Qatar che la Turchia sostengono i movimenti jihadisti che tanti lutti stanno adducendo in Medio Oriente e soprattutto, a Gaza, aspirano a erodere il potere di Hamas.

Anche il caos siriano non aiuta: Damasco ha rappresentato per decenni l’antagonista storico di Israele, dal momento che possedeva un esercito che poteva rivaleggiare con i potenti vicini e contro il quale nulla potevano le atomiche israeliane (troppo vicina la Siria, come buttarsi la bomba in casa). Tanto che il capo di Hamas, Ismail Meshaal, per anni è stato ospite a Damasco. Ora la Siria è solo il fantasma della potenza del passato: un Paese sfibrato, sulla difensiva, che a stento riesce a contenere le bande di feroci jihadisti che gli sono state scatenate contro nella speranza di rovesciare Assad. Una situazione che ne svuota ogni possibilità di manovra diplomatica nella tragedia che si sta consumando ai suoi confini.

Da ultima la Russia: se in altre crisi mediorientali Mosca aveva potuto mettere il suo peso sul piatto della bilancia, che in quell’angolo di mondo non è pari a zero, oggi è costretta a uno ruolo di spettatore da un’offensiva senza precedenti lanciata contro di essa dall’Occidente in conseguenza della crisi ucraina (ultima “trovata” la sentenza monstre di un tribunale olandese – in realtà una sorta di comitato di arbitraggio  sulle dispute commerciali internazionali dell’Onu –  che ha condannato la Russia a pagare 50 miliardi al plurimiliardario Khodorkovsky, al quale sarebbe stata sottratta l’azienda petrolifera Yukos, acquistata dall’oligarca per pochi rubli al tempo delle privatizzazioni di Eltsin).

Così che la determinazione con la quale alcuni ambiti della destra israeliana approcciano i loro storici antagonisti fa il paio con l’assertività degli Stati Uniti, e dell’Occidente in genere, nei confronti di Assad e di Putin. Anzi, per uno strano paradosso della politica internazionale, l’una trova alimento dalla rigidità degli altri in altri scenari.

La diplomazia, nelle sue molteplici sfumature, appare esercizio complesso; eppure la via dei rapporti di forza, apparentemente più semplice e diretta, ha invece variabili e ricadute infinite e imprevedibili. Controproducenti anche per quanti la imboccano nella speranza di soluzioni immediate. Vale per i rapporti con Mosca come per Gaza.

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