11 Settembre 2014

Museo degli Uffizi, Croce 432

Museo degli Uffizi, Croce 432
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Quando si entra agli Uffizi, nella prima indimenticabile sala, dove sono esposte le tre grandi Madonne in maestà di Cimabue, Giotto e Duccio, bisogna prestare attenzione ad una Croce esposta proprio a fianco di Cimabue. È un’opera di qualità altissima di cui non si sa l’autore (che dovrebbe essere di origini pisane, e risalire alla metà del 1200), per cui è conosciuta con il numero d’inventario del museo fiorentino: la Croce 432. Sulla tavola sagomata alta quasi 3 metri l’artista ha dipinto ovviamente Cristo crocefisso, accompagnandolo con un racconto un po’ miniaturistico ma di un’intensità indimenticabile delle scene concitate della Passione. Sulle “tabelle” agli estremi della braccia della croce si vedono da una parte Maria e san Giovanni, e dall’altra una pia donna (un’altra è scomparsa per danni subiti dalla tavola).

A dispetto di quanto descritto sino ad ora il titolo con cui quest’opera è stata catalogata potrebbe spiazzare: “Cristo Triumphans con scene della Passione”. In effetti ad un primo sguardo si può subito notare che Gesù ha il capo eretto e gli occhi sgranati, mentre le mani e i piedi, per quanto allungati sulla croce, hanno i segni dei chiodi, ma i chiodi non ci sono. È insomma un’immagine di Cristo vivo, anche se tutto il contesto rievoca la sua passione e anche se tutti i testimoni sembrano essere rimasti un passo indietro, nella tristezza della sua Passione. L’aspetto indimenticabile di quest’opera (che è stata da poco restaurata) è proprio in questo scarto volutamente cercato dall’artista. Al dolore e alla concitazione delle scene della Passione contrappone la figura “vincitrice” di Cristo. Si sa che la rappresentazione della Crocifissione entra tardi nella iconografia cristiana, perché per tanti secoli gli artisti erano stati chiamati a rappresentare Cristo già vincitore della morte. Quindi l’ignoto autore della Croce 432 non fa altro che adeguarsi ad una tradizione, che sarebbe stata superata con la nuova pittura di storia avviata da Cimabue e Giotto. Ma in genere la rappresentazione di Cristo vincitore si accompagnava con una stereotipazione delle forme, invece il Maestro della Croce 432 fa una cosa diversa: Cristo da lui dipinto è di una verità anche fisica che suscita commozione. Si avverte quasi la tenerezza con cui ha steso le pennellate, usando un pigmento verde azzurro per il modellato dell’addome. E si scorge una baldanza nel modo con cui traccia il segno deciso attorno ai grandi occhi di Cristo, spalancati su di lui e su ciascuno.

 

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