17 Novembre 2014

La fine dell'Abenomics

di Gianni Di Noia
La fine dell'Abenomics
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Il 17 novembre, al momento di rendere pubblici i dati sul Pil di questo terzo trimestre, il Giappone prende coscienza di una dura realtà: perde lo 0,4% rispetto al trimestre precedente e l’1,6% su base annua. Il dato potrebbe sembrare uno dei tanti che ogni giorno vengono annunciati in questo periodo di crisi che va avanti dal 2007. E invece è molto importante perché giunge dopo 18 mesi di stimoli monetari messi in atto dalla Bank of Japan, la cosiddetta “Abenomics”: senza contare gli interventi precedenti, dall’aprile 2013 la BoJ ha immesso sul mercato liquidità per 50 miliardi di dollari al mese, e col dato sul Pil si spiega probabilmente la notizia dell’incremento degli stimoli fino a 85 miliardi di dollari al mese annunciato pochi giorni fa.

 

Negli ultimi 18 mesi la BoJ ha iniettato sul mercato più di 900 miliardi di dollari, la borsa giapponese è cresciuta del 39%, il tasso del titolo di stato decennale giapponese è passato dallo 0,55% allo 0,90% per poi ridiscendere allo 0,50% attuale, mentre lo Yen ha perso il 16%. Gli effetti sull’economia sono contrastanti per via di un Pil che, seppur in calo, lascia al Paese un tasso di disoccupazione che è al 4,1%.

Una situazione che ha certamente favorito i mercati finanziari e che non pare aver portato grossi benefici all’economia reale. Una situazione da monitorare perché queste politiche monetarie sono state attuate già da tempo dagli Stati Uniti e vengono invocate a gran voce come soluzione alla stagnazione economica europea. La domanda attuale è la seguente: è sostenibile questa politica di stimoli monetari?

 

Difficile dare una risposta, di fatto il debito pubblico giapponese è certamente salito dal già alto 220% rispetto al Pil, ed è sorretto solo dagli acquisti di titoli di Stato da parte della stessa banca centrale. In una situazione normale gli investitori chiederebbero una remunerazione più alta da parte dello stato giapponese per finanziarlo, cosa che aumenterebbe la spesa per gli interessi e sarebbe sostenibile solo se compensata da una maggiore crescita dell’economia. Con una ricaduta negativa per la spesa per i prodotti importati.

Oggi la banca centrale falsa un po’ la situazione, ma per quanto tempo ancora? Un esperimento che Stati Uniti ed Europa devono seguire con attenzione.

 

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