27 Gennaio 2015

Auschwitz, il nazismo e le potenze demoniache

Auschwitz, il nazismo e le potenze demoniache
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Settant’anni fa la liberazione di Auschwitz. Tra i tanti ricordi di quella tragica temperie storica riportati in questi giorni sui media, spicca uno scritto di Primo Levi pubblicato sulla Stampa del 21 gennaio. Nel brano, il grande scrittore italiano ricorda come fu facile al nazismo «trovare traditori e farne dei sàtrapi, corrompere le coscienze, creare o restaurare quell’atmosfera di consenso ambiguo, o di terrore aperto, che era necessaria per tradurre in atto i loro disegni. Tale è stata la dominazione tedesca in Francia, nella Francia nemica di sempre; tale nella libera e forte Norvegia; tale in Ucraina, nonostante vent’anni di disciplina sovietica; e le medesime cose sono avvenute, lo si racconta con orrore, entro gli stessi ghetti polacchi: perfino entro i Lager […]

 

I Lager sono stati, oltre che luoghi di tormento e di morte, luoghi di perdizione. Mai la coscienza umana è stata violentata, offesa, distorta come nei Lager: in nessun luogo è stata più clamorosa la dimostrazione cui accennavo prima, la prova di quanto sia labile ogni coscienza, di quanto sia agevole sovvertirla e sommergerla. Non stupisce che un filosofo, Jaspers, ed un poeta, Thomas Mann, abbiano rinunciato a spiegare l’hitlerismo in chiave razionale, ed abbiano parlato, alla lettera, di dämonische Mächte”, di potenze demoniache.

 

Su questo piano acquistano senso molti particolari, altrimenti sconcertanti, della tecnica concentrazionaria. Umiliare, degradare, ridurre l’uomo al livello dei suoi visceri. Per questo i viaggi nei vagoni piombati, appositamente promiscui, appositamente privi d’acqua (non si trattava qui di ragioni economiche). Per questo la stella gialla sul petto, il taglio dei capelli, anche alle donne. Per questo il tatuaggio, il goffo abito, le scarpe che fanno zoppicare. Per questo, e non si comprenderebbe altrimenti, la cerimonia tipica, prediletta, quotidiana, della marcia al passo militare degli uomini stracci davanti all’orchestra, una visione grottesca più che tragica […].

 

Allo stesso scopo di avvilimento si arrivava per altra via. I funzionari del campo di Aushwitz, anche i più alti, erano prigionieri, molti erano ebrei. Non si deve credere che questo mitigasse le condizioni del campo: al contrario. Era una selezione alla rovescia: venivano scelti i più vili, i più violenti, i peggiori, ed era loro concesso ogni potere, cibo, vestiti, esenzione dal lavoro, dalla stessa morte in gas […]. Collaboravano: ed ecco, il comandante Höss si può scaricare di ogni rimorso, può lavare la mano e dire “è pulita”: non siamo più sporchi di voi, i nostri schiavi stessi hanno lavorato con noi. Rileggete la terribile pagina del diario di Höss in cui si parla del Sonderkommando, della squadra addetta alle camere a gas e al crematorio, e capirete cosa è il contagio del male».

 

Nota a margine. Colpisce non poco quell’accenno al demoniaco, così intelligente, nello scritto di Levi. Settanta anni dalla liberazione del campo di sterminio polacco, quel furore demoniaco non è certo finito allora. Anzi. Basta guardare l’orrore sanguinario che dilaga nel mondo.

 

Così questo scritto non serve solo a mettere in guardia dall’antisemitismo di ritorno, che pure conserva la sua forza, basti pensare ai movimenti neonazisti così influenti in Ucraina e ad Alba dorata in Grecia; ma anche a guardare con altri occhi certe dinamiche del terrorismo internazionale, inspiegabili secondo le logiche razionali, ma solo con lo scatenarsi di potenze demoniache di segno diverso (forse).

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