17 Marzo 2015

Il Papa, Giussani e Comunione e liberazione

Il Papa, Giussani e Comunione e liberazione
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Ha suscitato acceso dibattito l’incontro avvenuto il 7 marzo tra papa Francesco e gli aderenti al movimento di Comunione e liberazione in Piazza San Pietro. Tra i tanti articoli e interventi sul tema, piace segnalare quello di Massimo Borghesi apparso su Terre d’America,

 

Per Borghesi, quella del Papa non è stata una “bastonatura” tuot court, come rilevato da altri, ma una «correzione liberante». Francesco, puntualizza Borghesi, ha avuto parole di elogio per don Luigi Giussani, sacerdote al quale il Papa ha espresso «gratitudine» sia per quanto ha dato al suo sacerdozio sia per il suo pensiero che «giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo». Questa la cornice nella quale inserire la correzione papale: Francesco ha esortato gli aderenti a Comunione e liberazione a «non tradire» don Giussani, loro riferimento ideale, «pietrificando» la sua testimonianza cristiana; e soprattutto ha ricordato che il cuore del cristianesimo è Gesù, non il singolo carisma, mettendo in guardia Cl dall’autoreferenzialità, richiamo che Francesco, ricorda Borghesi, ha più volte ripetuto nel corso del suo Pontificato anche in altre circostanze e rivolto ad altre realtà ecclesiali.

 

Riportiamo, quindi, la conclusione dell’articolo: «Rileggendo la biografia che Savorana ha dedicato a Giussani è possibile cogliere passi in cui non solo affermava: “della vostra compagnia io me ne infischio” (Savorana, 900), intendendo con ciò la riduzione sociologistica ed autoreferenziale del movimento, ma auspicava, altresì, un tramonto di Cl, almeno in prospettiva. “L’ideale per noi – affermava nel 1985 – sarebbe che CL scomparisse, perché resa inutile dal fatto che tutta la Chiesa ne vivesse gli accenti. Non di CL, ma gli accenti cristiani fondamentali che CL ha incominciato a sottolineare trent’anni fa”(Savorana, 668). Non era un modo di dire. Il movimento, per Giussani, non era per sé stesso, ma per la Chiesa e per il mondo. Se diveniva chiuso non era più un luogo di vita ma un peso dispotico che poteva solo complicare la vita. È la prospettiva che il Papa ha voluto correggere in totale sintonia con il lascito del sacerdote di Desio».

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