22 Aprile 2015

L'Italicum e la tenuta democratica dell'Italia

L'Italicum e la tenuta democratica dell'Italia
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo riguardante la (probabile) nuova legge elettorale fortemente voluta dal Primo ministro Matteo Renzi (e associati), ovvero l’Italicum. L’autore è Vincenzo Tondi delle Mura, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università del Salento.

 

Non c’è nessuna differenza fra il Porcellum e l’Italicum, se non quella che proviene da un intervento legislativo alquanto spregiudicato e mirato a rafforzare i poteri della minoranza vincitrice delle elezioni, al fine di liberare la stessa dai controlli politici e parlamentari propri del sistema democratico. Rispetto al precedente sistema elettorale l’Italicum rappresenta una sorta di “evoluzione della specie”, dove i vecchi meccanismi elettorali del Porcellum risultano riproposti aggirando i divieti sanciti al riguardo dalla Consulta.

 

La nuova legge prevede un doppio turno elettorale, limitato alla competizione fra liste di partito e non già di coalizione. Il primo turno è esteso a tutte le formazioni politiche ed è finalizzato ad assegnare alla lista con almeno il 40% dei voti validi un premio del 15% dei seggi, tale da beneficiare del 55% dei seggi della Camera dei Deputati (ossia 340 su 630).

 

Il secondo turno, invece, è subordinato al mancato raggiungimento di tale soglia premiale ed è limitato al ballottaggio fra le due liste più votate, al fine di assicurare a quella vincitrice il medesimo premio di 340 seggi; ciò tuttavia – ed è questo il problema – indipendentemente dalla percentuale di voti ricevuti e dal quorum di partecipazione registrato. Con la conseguenza che, come nel caso del Porcellum, il premio di maggioranza diviene potenzialmente illimitato, essendo suscettibile di lievitare dal 15% del primo turno a percentuali che, stando ai risultati delle elezioni politiche del 2013, potrebbero arrivare persino al 25-30%.

 

Eppure una tale eventualità era stata negata dalla Consulta proprio in occasione del giudizio sul Porcellum. La Corte aveva sottolineato la necessità “di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio”, in modo da scongiurare un’alterazione del circuito democratico e la violazione del principio di eguaglianza di voto fra gli elettori. Le esigenze di governabilità e di stabilità dell’esecutivo, infatti, non possono essere tali da prevalere sugli altri interessi costituzionali, sino  a provocare un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica.

Così le modifiche introdotte dall’Italicum sui meccanismi elettorali del Porcellum risultano solo apparenti, anzi nei fatti introducono ulteriori peggioramenti.

 

Nel nuovo modello il primo turno elettorale nei fatti non è risolutivo, costituendo piuttosto un espediente di meccanica elettorale finalizzato a giustificare l’aggiramento delle previsioni della Consulta disposto dal secondo. La soglia minima del 40% al primo turno, infatti, è difficilmente raggiungibile nell’attuale sistema politico, evoluto in senso quantomeno tripolare (e la storia delle elezioni italiane racconta di un traguardo irraggiungibile da un solo partito). Di conseguenza, il relativo mancato raggiungimento viene a rappresentare l’espediente per legittimare il successivo turno di ballottaggio senza soglia minima premiale. Tale espediente consente così, al pari di quanto previsto dal Porcellum, di ripristinare il precedente assetto bipolare e di trasformare la minoranza politica più votata nella forza parlamentare di maggioranza assoluta.

 

Il quadro elettorale peggiora ulteriormente con riguardo alla rappresentanza delle minoranze. La nuova versione dell’Italicum, infatti, prevede una soglia di sbarramento unica e non più variegata, pari ad appena il 3% dei consensi. L’esiguità dello sbarramento, pertanto, è tale da innescare fra le minoranze più rappresentative e quelle più ridotte una competizione suicida, finalizzata alla ripartizione del restante 45% dei seggi della Camera. Una volta frantumata l’opposizione in tanti rivoli, tuttavia, alla stessa non resterà che un mero diritto di tribuna, incapace di un’incidenza parlamentare efficace; e ciò – ancora una volta – a beneficio dell’indirizzo governativo della minoranza vincitrice delle elezioni.

 

Venendo poi alla spinosa questione della scelta dei rappresentanti, a conti fatti la soluzione dell’Italicum non è dissimile da quella del Porcellum. La sostituzione del meccanismo delle “liste bloccate” con quello di cento “capilista bloccati” non cambia la sostanza delle cose, nel senso che anche il secondo meccanismo altera il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti e lede la libertà di scelta dei primi. Come hanno evidenziato gli studi applicativi sul tema, essa è suscettibile d’immettere col voto bloccato sino al 60% di deputati nominati, limitando al 40% la quota dei deputati scelti dagli elettori.

 

Quale sia il destino del dissenso all’interno dei partiti e della medesima Camera è facile immaginare. Se la nomina del parlamentare è in gran parte rimessa al leader di riferimento e non già al corpo elettorale, è facile prevedere che il rapporto tra eletto e leader risulterà improntato alla mera obbedienza. Si introduce così un sistema di cooptazione nel quale i margini per la critica interna ai singoli partiti sarà ridotta ai minimi termini. Un vulnus alla dialettica interna ai singoli partiti, con conseguenze incresciose.

Si immagini, ad esempio che il Parlamento debba prendere in considerazione un intervento armato (Nato o altro): a decidere per tutti potrebbero essere uno o due esponenti politici…

 

Ulteriore criticità dell’Italicum è la riproposizione del sistema delle “candidature multiple”, sia pure con il limite dei dieci collegi per i soli capilista, che ripropone le ragioni d’illegittimità già mosse dalla Consulta verso l’analogo sistema previsto senza limiti dal Porcellum. Un tale meccanismo, infatti, viola l’aspettativa dell’elettore in riferimento all’ordine dell’elezione dei candidati, “tenuto conto della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni di partito” (sent. n. 172014, § n. 5.1.); sicché rimette ancora una volta alle decisioni di partito la concreta definizione dell’ordine dei candidati eletti.

 

In definitiva, restano confermati in modo più mirato ed efficace gli obiettivi del precedente modello elettorale. Il premio di maggioranza rimane illimitato, in quanto sprovvisto della previsione di una soglia minima premiale, come pure resta illimitato il potere delle segreterie politiche sui singoli candidati ed eletti. Per contro, muta per via legislativa il quadro politico, che torna a essere bipolare a dispetto dell’evoluzione in senso quantomeno tripolare maturata nel frattempo; sicché, attesa la frantumazione delle opposizioni, risulta ulteriormente rafforzata la leadership del “capo della forza politica” della più ampia minoranza.

 

È prevedibile che tale sistema artificiosamente e forzosamente bipolare andrà ad incrementare il “partito degli astenuti”. Si tratta di un rischio che non può essere sottovalutato, né tantomeno giustificato con il rinvio all’alta percentuale di astensionismo presente in altre democrazie occidentali, dal momento che proprio l’alta partecipazione degli italiani alla politica, ancorché espressa al momento del voto, ha consentito al Paese di superare momenti altamente critici. Tra l’altro relegare ai margini del circuito democratico crescenti fasce generazionali o sociali, demotivate dalla crisi di credibilità del sistema politico e dalla forzatura bipartitica dell’offerta partitica, espone le stesse a potenziali manipolazioni, suscettibili di degenerare nell’eversione.

 

Per non dire che un incremento indiscriminato del “partito dell’astensione” renderebbe paradossale il raffronto fra la disciplina elettorale del nuovo sistema e quella referendaria di cui all’art. 75 della Costituzione. Se quest’ultima rimette l’abrogazione di un singolo testo di legge alla partecipazione della maggioranza assoluta del corpo elettorale, la prima, invece, affiderebbe la composizione dell’intero organo legislativo alla partecipazione di una percentuale di elettori potenzialmente (e prevedibilmente) assai inferiore.

 

Tante criticità in questa legge elettorale, sia dal punto di vista giuridico che della tenuta democratica del sistema. Non possono non destare preoccupazione.

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