5 Maggio 2023

NYT: la presenza USA in Corea del Sud e la prostituzione sistemica

Soldati USA in Corea, accanto donne in fuga dalla guerra. NYT: la presenza Usa in Corea del Sud e la prostituzione sistemica
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“L’eufemismo ‘donne di conforto’ descrive le donne coreane e altre donne asiatiche costrette alla schiavitù sessuale dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Ma lo sfruttamento sessuale di altre donne è continuato in Corea del Sud molto tempo dopo il 1945, anno in cui finì l’occupazione giapponese, e ha goduto delle complicità dallo stesso governo [sudcoreano]”. Inizia così un articolo del New York Times di oggi.

“C’erano ‘unità speciali di donne di conforto’ per i soldati sudcoreani – continua il NYT – e camp town per le truppe delle Nazioni Unite a guida americana durante la guerra di Corea. Nel dopoguerra, molte di queste donne lavoravano nei gijichon, o nei camp town, costruiti intorno alle basi militari americane”, rimaste nel Paese a causa della conflittualità tra Sud e Nord Corea.

La prostituzione sistemica

“Nel settembre scorso, 100 di queste donne hanno ottenuto una vittoria storica: la Corte Suprema della Corea del Sud ha decretato un risarcimento per il trauma sessuale subito. Ha ritenuto il governo colpevole di ‘giustificare e incoraggiare’ la prostituzione nelle città-accampamento per aiutare la Corea del Sud a mantenere la sua alleanza militare con gli Stati Uniti e guadagnare dollari americani“. E ha anche messo sotto accusa il governo per le modalità ‘sistematiche e violente’ usate per imprigionare le donne” nei camp town.

“Gli americani devono sapere cosa ci hanno fatto alcuni dei loro soldati”, ha detto Park Geun-ae, venduta a un magnaccia nel 1975, quando aveva 16 anni, che ha testimoniato di aver subito percosse e altri abusi da parte dei GI “Il nostro paese era alleato degli Stati Uniti e sapevamo che i suoi soldati erano qui per aiutarci, ma ciò non significa che potessero farci quello che volevano, vero?”.

Così il NYT racconta una pagina oscura della storia, finora ignota. Il punto non è il proliferare della prostituzione a seguito delle truppe, cosa alquanto usuale quanto antica, ma che fosse un sistema, fatto di violenza e costrizione, attuato con il beneplacito delle autorità. Un sistema, annota il NYT, che non era altro che il prolungarsi della pratica delle donne di conforto istituita sotto l’occupazione giapponese.

Le responsabilità del governo e degli Usa

Così un documento del 1961 evidenzia come in una regione si ritenne “urgente allestire strutture di massa […] per fornire conforto alle truppe delle Nazioni Unite e tenere alto il loro morale”.  Nella struttura vennero ristrette 10.000 donne per “soddisfare” i soldati americani.

Nessun documento prova una “diretta” responsabilità del governo, ma resta che nel 1970, come annota il NYT, “il governo riferì al Parlamento che la Corea del Sud guadagnava 160 milioni di dollari all’anno dagli affari derivanti dalla presenza militare statunitense, compreso il commercio sessuale (le esportazioni totali del paese all’epoca erano di $ 835 milioni)”.

La prostituzione massiva, insomma, era “parte del prezzo da pagare per preservare la presenza militare statunitense nel paese dopo la guerra”. Tali donne erano considerate “macchine per guadagnare dollari”; e anche “guerriere”, in quanto  partecipavano dell’ingaggio contro il Nord.

Quanto avveniva loro era ben noto all’esercito americano, la cui unica preoccupazione – come da documenti ufficiali – fu di evitare che trasmettessero malattie veneree ai soldati. C’erano regole rigide in proposito: le donne dovevano sottoporsi a visite mediche periodiche, avere un apposito tesserino etc.

Possibile che al Pentagono e dintorni non ne sapessero niente? Ed è un caso isolato? Domande senza risposta. Resta che l’articolo denuncia crimini pregressi delle forze Usa, come capita spesso ai media mainstream, alquanto restii a indagare sui temi sensibili più recenti se ciò risulta nocivo all’Us Army.