11 Dicembre 2013

L'attacco chimico di Goutha in Siria: le manipolazioni che potevano scatenare una nuova guerra

L'attacco chimico di Goutha in Siria: le manipolazioni che potevano scatenare una nuova guerra
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«Barak Obama non ha raccontato tutta la storia quando ha cercato di sostenere che Bashar al Assad era il responsabile dell’attacco chimico compiuto nei pressi di Damasco il 21 agosto. In alcuni casi ha omesso importanti informazioni di intelligence, in altri ha presentato semplici ipotesi come se fossero fatti. Soprattutto non ha ammesso una cosa nota ai suoi servizi segreti, e cioè che che non era solo l’esercito siriano ad avere accesso al sarin (il gas nervino usato nell’attacco, secondo quanto accertato dall’Onu), nella guerra civile in corso nel Paese mediorientale. Nei mesi precedenti, le agenzie di intelligence americane hanno prodotto rapporti altamente riservati con prove che il Fronte Al Nusra, gruppo jihadista affiliato ad Al Qaeda, possedeva le competenze tecniche per creare il sarin ed era in grado di fabbricarne in abbondanza [tra l’altro l’Onu ha additato questi come responsabili di alcuni limitati attacchi chimici precedenti ndr.]. Al momento dell’attacco, Al Nusra avrebbe dovuto essere tra i sospettati, ma l’amministrazione Obama ha scelto solo le informazioni che servivano per giustificare un attacco contro Assad». A scrivere queste cose non è un ignoto complottista o un sostenitore del regime di Damasco, ma è il premio Pulitzer per il giornalismo, famoso per le sue inchieste, Seymour N. Hersh, in un articolo riportato il 10 dicembre sulla Repubblica, ma apparso sulla rivista Lodon Rewiew of Books, dal momento che i grandi quotidiani Usa per i quali lavora hanno rifiutato di pubblicarlo, come ha spiegato l’autore (anche se gli interessati, ovviamente, negano la censura).

 

Nell’articolo si dettagliano le «deliberate manipolazioni dei servizi segreti» riguardo l’orrore di Goutha (morirono, almeno ufficialmente, 1400 persone) per poter giustificare un intervento armato occidentale contro il governo di Damasco. Non entriamo nei particolari riportati nell’inchiesta, invero ben documentata, ma riportiamo alcuni passaggi che appaiono molto significativi. 

«Il 29 agosto, il Washington Post ha pubblicato estratti del budget annuale per tutti i programmi nazionali di intelligence, fornito da Snowden [l’ex agente segreto che ha divulgato diversi documenti top secret Usa ndr]. C’era una sezione dedicata alle aree problematiche […]. Gli estratti del Washington Post hanno fornito anche la prima indicazione di un sistema di sensori all’interno della Siria per conoscere in anticipo qualsiasi cambiamento nella situazione dell’arsenale chimico del regime. I sensori sono monitorati dal Nro (ufficio nazionale di ricognizione), l’organismo che controlla tutti i satelliti dei servizi segreti. Secondo il riassunto del Washington Post, l’Nro ha anche il compito di “estrarre i dati provenienti dai sensori sul terreno”, dislocati all’interno della Siria. Questi sensori forniscono un monitoraggio costante del movimento delle testate chimiche in mano all’esercito siriano, ma nei mesi e nei giorni prima del 21 agosto, dice sempre l’ex funzionario, non hanno riscontrato alcun movimento». 

 

Altro passaggio significativo: subito dopo la strage, gli ispettori Onu indagarono sull’accaduto. Il loro rapporto fu presentato dalle autorità Usa, e dai giornali occidentali, come un atto d’accusa contro il regime. In particolare, si ricorda che i media fecero a gara a informare che i funzionari Onu avevano trovato sul terreno un proiettile usato per il bombardamento chimico e che questi era simile a quelli in dotazione dell’esercito regolare siriano. Spiega Hersh: «Nel rapporto dell’Onu del 16 settembre, che confermava l’uso del sarin, gli ispettori furono attenti a sottolineare che il loro accesso al luogo dell’attacco, che avvenne cinque giorni dopo il 21 agosto, era avvenuto sotto il controllo delle forze ribelli. “Come per altri siti”, metteva in guardia il rapporto, “i luoghi sono stati visitati da altri individui prima dell’arrivo della missione […] Nel periodo che abbiamo trascorso in questi siti sono arrivati individui che portavano con sé altre munizioni sospettate, segnale che potenziali prove di questo genere vengono spostate e forse manipolate”». In particolare, sul proiettile presentato come la “pistola fumante” che accusava Assad, il giornalista americano riporta la testimonianza di Theodore Postol, professore di tecnologia e sicurezza Nazionale al Mit, il quale «ha analizzato le foto dell’Onu insieme a un gruppo di suoi colleghi ed è giunto alla conclusione che quel razzo di grosso calibro era una munizione di fabbricazione artigianale, molto probabilmente realizzata localmente. Mi ha detto che era “qualcosa che si può produrre in un’officina modestamente attrezzata”».

 

Queste e altre manipolazioni delle realtà hanno portato il mondo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Obama, alla fine, ci ha ripensato, e oggi sta cercando, insieme a John Kerry, una soluzione diplomatica alla guerra (la distensione con Teheran sul nucleare va vista anche in questa ottica). E questo oggi conta più del pregresso. Altri, sia negli Usa come in Europa, insistono sulle loro posizioni intransigenti, allora giunte al parossismo, ostacolando i tentativi di pacificazione. E la fabbrica della manipolazione che lavora attorno a questa guerra è ancora in servizio attivo. L’inchiesta di Hersch ne ha rivelato solo la punta dell’iceberg.

Piace terminare questa lunga nota – ce ne scusiamo ma valeva la pena di dare spazio alla cosa, articoli del genere si leggono una volta ogni dieci anni – accennando alla statura umana del cronista in questione. Il suo articolo ha suscitato reazioni forti negli Usa. Alle quali ha risposto: «Rispetto a questioni tanto gravi» i miei «travagli» di giornalista «sono davvero poca cosa». Coraggio, intelligenza e modestia, forse mai premio Pulitzer fu più meritato.