1 Aprile 2014

L'intervista di Grasso

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«Con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta». Così il Presidente del Senato Pietro Grasso. Una frase pesantissima, al di là della formulazione con la quale è stata pronunciata nell’intervista rilasciata a Liliana Milella della Repubblica

Già perché il progetto di Matteo Renzi, o di chi per lui ché il ragazzo ha tanti suggeritori nell’ombra, è quella di abolire il Senato e trasformarlo in un’assemblea di sindaci e presidenti delle Regioni. Un progetto, fa notare che Grasso, che non prevede elezioni popolari. Ne abbiamo scritto in passato di questo progetto di fare dell’austera sede parlamentare – spesso simbolo, nell’antica Roma, della resistenza contro l’autoritarismo imperiale – una bocciofila; non serve ripeterlo ora.

Quello che va rimarcato in questa sede è che il Presidente del Senato parla di questo progetto come un vulnus per la democrazia. E ha tragicamente ragione: la nuova legge elettorale prevede come il tanto criticato porcellum (nonostante i proclami di tanti politici e soprattutto una sentenza della Corte Costituzionale che è stata abilmente aggirata) che siano i segretari di partito a indicare i singoli candidati alle elezioni e non i cittadini tramite le preferenze. Inoltre, grazie allo sbarramento minimo per accedere al Parlamento (più accessibile, no si sa bene perché, più ai partiti gemellati con quelli grandi che a quelli liberi da vincoli) e al premio di maggioranza, bloccherà il sistema partitico per i prossimi decenni. Già perché una volta varata la nuova legge elettorale, nessun partito vorrà in futuro tornare indietro dati i benefici che ne ricava. Una legge liberticida perché impedirà, o almeno frenerà fortemente, la nascita di nuovi partiti che con questa riforma sarebbero politicamente irrilevanti. A questo si aggiunga il taglio dei parlamentari: troppi mille, forse, ma 300, o giù di lì, sono davvero pochini per evitare forti condizionamenti esterni e tra di loro (e dire che questa riforma vuole dare risposta alle polemiche contro la casta… altro che casta, il pericolo è quello di creare un’élite esclusiva, una super casta). L’abolizione del Senato poi è la ciliegina sulla torta: nasce da esigenze reali, rendere cioè più veloce l’iter legislativo e più efficace l’esercizio di governo, ma dà risposte da Repubblica delle banane. Ecco, Grasso, l’ultimo dei mohicani come si definisce nell’intervista, ha dato voce a un’Italia che non vuole diventare una Repubblica delle banane. Ha parlato lui, ma non è il solo ad avere questa preoccupazione. 

Renzi ne fa una questione di velocità: bisogna fare in fretta e dare un segnale. E una questione politica personale: se la riforma non passa come da proposta, ci fa una figuraccia e non va bene. Anche Mussolini fece in fretta le sue riforme. E anche Hitler, semplificando al massimo la catena decisionale dello Stato. È non fu una fretta felice, per usare un eufemismo. Certo, non siamo a quei tempi, certe dinamiche non si possono ripetere, ma ora come allora quando si iniziano a modificare i fondamenti della democrazia i rischi sono notevoli. E più che rischi, date le premesse, le certezze. Sarebbe bene che di queste riforme se ne parli in maniera più ampia e soprattutto più condivisa: non può essere decisa in un incontro a due tra Renzi e Verdini. La Costituzione fu fatta da ben altre personalità: se non fosse tragico, susciterebbe ilarità constatare che è stata modificata nel segreto da due persone di altra levatura rispetto ai padri in questione, nel silenzio assenso di tanta parte dei media e della classe intellettuale.

Il sasso è stato lanciato. Grasso ha parlato a nome dell’Italia, quell’Italia che chi ha scelto Renzi vorrebbe consegnare in fretta e furia, parola dai tanti significati, a una nuova casta (non solo politica) più esclusiva e difficilmente amovibile.

Concludiamo con un’osservazione che prende spunto dagli articoli profusi sulle prossime elezioni europee. Da tempo sui giornali si moltiplicano le accuse di populismo contro alcune formazioni che parteciperanno a queste elezioni. È il caso, per fare esempi casuali, del movimento 5 stelle e del partito di Le Pen, che ha ottenuto un discreto successo nelle recenti elezioni francesi. Al di là delle simpatie o meno per le formazioni politiche in questione, suona ben strano che allarmi del genere non siano lanciati almeno in egual misura nei confronti del Pd di Renzi, che ha fatto del populismo il suo fondamento politico, ricalcando le orme del suo predecessore Silvio Berlusconi. Non a caso, stante l’agitazione interna del Pd, Forza Italia è il principale sostegno del governo Renzi; si può dire anzi che è il principale partito di governo. Altra anomalia di questo momento, dove al governo c’è una figura eletta dalla sua segreteria, cento persone più o meno, e sostenuta dal maggior partito di opposizione. Il voto degli italiani al Pd guidato da Bersani nelle ultime elezioni politiche è stato praticamente bypassato. Come anche quello dato a Forza Italia (tra l’altro, sarebbe interessante verificare se gli elettori di centrodestra avrebbero votato Forza Italia se avessero saputo che il loro voto avrebbe dato vita a un governo targato Pd). Se non un tradimento (incrociato) del voto, sicuramente tale elementare constatazione evidenzia un enorme deficit di chiarezza nel momento elettorale. E dire che chi governa grazie a questa oscura anomalia, pretende di dar vita a un processo riformatore che garantisca proprio la chiarezza del processo elettorale e decisionale dello Stato. Altra anomalia. Di anomalia in anomalia il sistema democratico si ammala. Così torniamo all’intervista di Grasso, che ha il merito di aver acceso un piccolo lume in un momento cruciale quanto oscuro della vita del Paese.

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