Nuovo governo in Ucraina. Zelensky vira verso l'America di Trump

Zelensky ha dato vita a un nuovo governo che incrementa la sua stretta sul Paese: via il Primo ministro Denis Shmyhal, al suo posto la trentanovenne Yulia Svyrydenko che, al contrario del suo recalcitrante predecessore, da ministro dell’Economia, suo precedente incarico, aveva accolto con giubilo e subito sottoscritto “l’accordo sulle materie prime” negoziato con gli Usa e i suoi allegati tuttora segreti.
Il particolare indica che a Washington saranno felici del nuovo governo, mentre non sembra lo sia altrettanto la Gran Bretagna, come evidenzia il durissimo editoriale del Financial Times contro Zelensky, tacciato di autoritarismo.
Non che l’accusa non sia vera, e di certo risulta un po’ ritardata, ma Londra non non si dà pena per certe quisquiglie, abituata com’è ad avere a che fare con i dittatori di mezzo mondo, molti dei quali lo sono diventati grazie ai servizi segreti di Sua Maestà.
Così il j’accuse londinese sembra più una reazione irritata per aver perso qualche figura di riferimento in carica nel pregresso governo, grazie alla quale ha potuto per gestire, insieme agli States, il Paese.
O forse, più probabilmente (e magari in combinato disposto con tale perdita), perché la stretta di Zelensky rende meno probabile l’ascesa al potere di una neonata dissidenza interna coordinata dall’ex primo ministro Petro Poroshenko e da una rete socio-mediatica di “attivisti” gestita in passato dal partito democratico Usa.
Tale rete è rimasta in piedi nonostante i tagli ai fondi destinati a “promuovere la democrazia” all’estero decisi da Trump, scrive Strana, perché ha trovato nuovi sponsor, tra cui, appunto, Poroshenko (e Londra?).
Al di là del particolare, resta che, con questa mossa, Zelensky ha tagliato i ponti che lo legavano ai vecchi padroni del vapore Usa, cercando di intrattenere rapporti meno conflittuali con i nuovi. In tal senso va vista anche la sostituzione dell’ambasciatrice Ucraina negli Stati Uniti, anch’essa legata ai dem e invisa all’amministrazione Trump. Al tycoon prestato alla politica sarà più facile fare affari con Kiev.
Quanto avvenuto presenta un altro aspetto significativo, il fatto che all’ex ministro della Difesa Rustem Umerov è stato affidato l’incarico di Segretario del Consiglio per la Sicurezza e la Difesa nazionale, sventando così una manovra che lo destinava a diventare ambasciatore dell’Ucraina negli Stati Uniti, nomina rifiutata da Washington.
La manovra mirava ad allontanarlo da Kiev, associando il suo destino a quello dell’ex Capo di Stato Maggiore Valeri Zaluzny, di cui Zelensky si è liberato nominandolo ambasciatore a Londra.
La prassi di nominare come ambasciatori all’estero figure scomode e impossibili da eliminare non è nuova, fu usata anche dalle giunte del Vietnam del Sud durante la guerra contro i Viet-cong, come registrato nel diario dell’ambasciatore italiano ad Hanoi Giovanni D’Orlandi (uno dei tanti parallelismi tra i due conflitti made in Usa).
L’allontanamento di Umerov mirava, anche simbolicamente, a far collassare in via provvisoriamente definitiva i negoziati con la Russia, attualmente in stallo, dal momento che è stato lui a guidare la delegazione negoziale ucraina.
Non che egli sia meno ingaggiato di altri nel confronto con Mosca ma, a quanto pare, ha dimostrato doti di pragmatismo che hanno prodotto qualche risultato, seppur minimale (ad esempio lo scambio di prigionieri).
La sua nuova nomina preserva il fragile negoziato, tanto che Zelensky, nell’annunciare il nuovo incarico di Umerov, ha accennato alla necessità di “attivare il canale negoziale” e lo ha esortato a impegnarsi con più “dinamicità in questo processo” (Strana). Cenni non consueti per il presidente ucraino, consegnato a un’ossessiva retorica bellica: hanno tutta l’aria di essere ispirati dall’alleato d’oltreoceano.
Insomma, Zelensky ha consolidato il suo potere e si è allineato alla nuova amministrazione Usa. Se Washington riprenderà a spingere per chiudere il conflitto – cosa possibile se Trump tornerà sulle posizioni pregresse superando l’attuale pressione dei falchi – avrà meno problemi interni, dal momento che uno degli ostacoli a tale sviluppo è sempre stato l’aggressivo rifiuto dei negoziati ispirato dai feroci ambiti neonazisti ucraini.
Certo, accennare alla fine della guerra in questo momento può sembrare più che irenico. Ma, sul punto, appare significativa l’intervista di Kyrylo Budanov, rilasciata a Bloomberg in concomitanza con l’avvio del nuovo governo.
Secondo il capo dell’intelligence militare ucraina è “realistico” immaginare che il conflitto possa finire entro la fine del 2025 attraverso negoziati seri tra Ucraina, Russia e Stati Uniti. Se si tengono presenti i rapporti più che stretti dell’intelligence ucraina con la CIA, rivelati tra gli altri dal Washington Post, si comprende la portata dell’inatteso annuncio. Non vendiamo facili illusioni, troppi i fattori di contrasto e le incognite, semplicemente speriamo.
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