31 Maggio 2013

Grillo attacca anche Rodotà

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In un’intervista al Corriere della Sera, Stefano Rodotà aveva criticato i grillini, in particolare spiegando il calo dei consensi nell’ultima tornata elettorale con la scarsa presenza del movimento sul territorio. Il web non basta, ha chiosato Rodotà. Pronta la replica di Beppe Grillo, che ha attaccato, in maniera alquanto irriguardosa, l’ex candidato al Quirinale dei Cinque stelle. È il secondo candidato del movimento per il Quirinale a essere oggetto di accesa polemica da parte del comico, dopo la conduttrice Milena Gabanelli. Non è un buon segnale. Nello specifico, quei toni da vituperio assunti nella vis polemica di Grillo, se da una parte infiammano i cuori dei fedelissimi abitati da una forte carica anti-sistema, dall’altra allontanano quanti avevano dato fiducia al comico come fattore di novità politica, un rinnovatore capace anche di lavorare per il bene del Paese.

Si susseguono voci di spaccature interne al movimento, certo alimentate da quanti sperano di fare shopping di parlamentari, ma anche dall’emergere di problemi interni al movimento. 

Al di là delle analisi, resta il dato: le scarse percentuali raggiunte in queste elezioni sono difficilmente rimediabili. L’onda lunga del grillismo si è infranta sulla riva della realtà. Se Grillo saprà gestire meglio la sua leadership forse reggerà, nonostante l’arretramento. Difficile che riesca a fare come la Lega di Bossi, che spese al meglio i suoi consensi anti-sistema in un gioco di alleanze di rara capacità politica. Ma  potrebbe fare del suo movimento un fattore di novità in grado di incalzare gli altri partiti sul piano dell’efficienza della politica e della tutela dei diritti dei cittadini (sempre che i grillini eletti ne abbiano la capacità, al momento solo sulla carta). Altrimenti avrà dato in ogni caso il suo contributo al Paese: come Giannini, che nel dopoguerra incanalò la protesta contribuendo a stabilizzare un Paese ancora traumatizzato dalla guerra, così Grillo potrebbe aver avuto il merito, forse suo malgrado, di stabilizzare il sistema politico sfibrato da due decenni di guerra civile permanente.

Sempre che la stabilizzazione riesca: perché questo avvenga serve un periodo di tregua tra destra e sinistra, esattamente quel che sta accadendo con il governo Letta. Ma forze e interessi diversi ne mettono in dubbio la durata. L’attivismo del sindaco di Firenze, che sta presentando all’Italia la sua ultima fatica letteraria Oltre la rottamazione, non è un segnale rassicurante in questo senso. Come non è rassicurante la constatazione che dopo la rottamazione di una macchina avviene la svendita dei pezzi ai clienti dello “sfascio”, come si chiamano a Roma gli sfasciacarrozze. Così l’eventuale sfascio dell’Italia avrebbe come conseguenza lo shopping di industrie e aziende di Stato da parte di Paesi con economie più solide. D’altronde avvenne la stessa cosa all’inizio della guerra civile che sta attraversando il Belpaese: a giugno del ’92, agli inizi della bufera di tangentopoli e a pochi giorni dall’attentato di Capaci, sul panfilo Britannia influenti uomini della finanza e dell’economia italiana si accordavano con esponenti della finanza internazionale per la cessione, a prezzi scontati, dei gioielli delle aziende statali italiane. Corsi e ricorsi storici.

 

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