9 Maggio 2014

L'Ucraina, le aperture di Putin e il rogo di Odessa

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Putin ha chiesto ai filo-russi dell’Est Ucraina di rinviare il referendum secessionista previsto per l’11 maggio annunciando, inoltre, il ritiro delle truppe russe schierate al confine con il Paese teatro di questa inestricabile crisi. Una mossa distensiva, la prima da quando è iniziata la rivolta nelle regioni orientali dell’Ucraina. E salutata in Occidente con un’incredibile sufficienza. La Nato, e il capo del Dipartimento di Stato Usa, hanno negato il ripiegamento delle truppe di Mosca. Risposta alquanto singolare, dal momento che la dichiarazione in questione è facilmente verificabile: non si nascondono sotto il tappeto 40.000 militari, centinaia di carri armati e quanto altro. Se Mosca ha mentito, basterebbe mostrare qualche immagine che smentisca quanto dichiarato, come tra l’altro ha chiesto lo stesso Putin; d’altronde i satelliti spia non mancano certo in zona. Dal momento che non è stata resa pubblica alcuna immagine, a smentire l’annuncio restano le parole di alcune autorità di spicco della leadership occidentale che in questa vicenda ucraina non hanno brillato per linearità.

Sulla seconda affermazione distensiva di Putin, quella riguardo il referendum, invece si è alzato un fuoco di sbarramento di altra natura: l’annuncio, secondo diversi analisti, sarebbe solo tattico, un modo per evitare a Mosca conseguenze, ovvero altre sanzioni, come ritorsione per una consultazione popolare che le autorità di Kiev, e l’Occidente, considerano illegale. Insomma, tutto procede come se nulla fosse successo. Nessuno (a parte Angela Merkel che, seppur con ambiguità, dall’inizio della vicenda non ha mai interrotto il filo del dialogo con Mosca)  ha provato ad andare a vedere le carte dell’avversario, lasciando la parola al campo di battaglia, ovvero alla campagna militare in corso da parte delle truppe di Kiev per portare a termine la “reconquista” delle province ribelli.

La mossa di Putin era inevitabile: il rischio di essere coinvolto in un conflitto era altissimo e la Russia avrebbe pagato un conto salato nel caso di un coinvolgimento militare nella crisi ucraina, cosa che gli ambiti neocon sembra stiano tentando in tutti i modi di causare (si ricordi che una delle cause della fine dell’Unione sovietica fu appunto la guerra afghana). Ma seppur tattica, l’iniziativa di Mosca poteva rappresentare uno spiraglio di opportunità per attutire la tensione, ma al momento non ha avuto esito. Un debole spiraglio per riprendere il filo del dialogo è rappresentato dalla commemorazione dello sbarco in Normandia, alla quale è prevista la presenza dello zar di Mosca. Si vedrà, ma le premesse non sono incoraggianti.

Nel frattempo, si è detto, le operazioni sul campo continuano. Per avere un’idea di quel che potrebbe riservare il futuro prossimo venturo occorre analizzare l’operazione più oscura fin qui perpetrata dal nuovo corso ucraino, il rogo di Odessa, quella, per intenderci, che in un primo tempo il governo di Kiev aveva provato a spiegare come una follia causata da scontri tra due tifoserie di calcio rivali (il parallelo con la vicenda dello stadio Olimpico in Italia è solo suggestivo). Su questa vicenda, infatti, iniziano a trapelare particolari inquietanti. I fatti sono ormai alquanto noti: miliziani neonazisti di Pavy Sektor, quelli che affiancano i militari di Kiev nelle operazioni contro i filo-russi, hanno preso d’assalto la Casa dei sindacati di Odessa, nella quale erano asserragliati i ribelli. Negli scontri tra le opposte fazioni si sarebbe generato un incendio, causato dal lancio di bottiglie molotov – forse dell’una forse dell’altra fazione -, che ha incendiato il palazzo: bilancio oltre quaranta vittime. Questa almeno la versione successiva propalata dai media, stante che la prima, uno scontro tra opposte tifoserie di calcio, era davvero improponibile. In realtà non è andata nemmeno così, come si è faticosamente visto dopo l’ennesima correzione del tiro, dal momento che il fuoco non è nato dagli scontri come conseguenza casuale di un conflitto tra opposte fazioni, ma sono stati i neonazisti di Pavy Sektor a dare fuoco all’edificio lanciando contro di esso bottiglie molotov e altro (in un video si vede un tizio che spara contro l’edificio). Ma c’è altro: una cosa che non è stata evidenziata a sufficienza dai media è che la Casa dei sindacati di Odessa non era un punto di ritrovo come altri per i filo-russi della città, ma era il loro quartier generale da settimane. Non è un particolare da poco, perché configura un’altra valenza alla vicenda, dal momento che quel rogo assume un significato militare e simbolico allo stesso tempo: un modo per liquidare una volta per tutte la rivolta nella città di Odessa e un monito ai ribelli filo-russi dell’Est Ucraina.

Un altro particolare alquanto inquietante di questa oscura pagina di cronaca nera sta circolando via web: foto e video che non proponiamo perché alquanto orribili, immortalano le vittime del rogo. Sono riprese girate successivamente, quando i miliziani di Pavy Sektor ispezionano il luogo del misfatto (particolare alquanto inquietante perché evidenzia il ruolo che hanno assunto le milizie neonaziste nella vicenda ucraina, tanto da svolgere compiti di polizia). Alcuni dei corpi rinvenuti nel palazzo risultano carbonizzati, altri invece non lo sono se non al viso e alle mani, mentre gli abiti risultano intatti. Singolarità davvero unica di un fuoco che brucia la carne ma risparmia i vestiti.  Cosa è successo davvero in quel posto? Sul web girano varie ipotesi, legate al fatto che, come si vede nelle immagini, è bruciata solo parte dell’edificio. Una di queste ipotesi è che contro la Casa dei sindacati sarebbero state usate armi non convenzionali, tipo fosforo bianco, in grado di ardere i corpi e non i vestiti.  Un’altra ipotesi vede la Casa dei sindacati assaltata da una squadra speciale che avrebbe liquidato i resistenti e coperto con le ustioni, e il rogo finale, i segni dei colpi mortali. Tesi suggestive, ma tutte da verificare. Cosa che non accadrà mai, dal momento che sulla vicenda gravita una densa cortina fumogena, come d’altronde su tutto quel che sta accadendo in Ucraina. Mala tempora currunt.

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