14 Maggio 2014

Maria, Salus Populi romani

di Maria Piera Iannotti
Maria, Salus Populi romani
Tempo di lettura: 5 minuti

Il primo atto compiuto da papa Francesco dopo la sua elezione al Soglio di Pietro è stato quello di rendere omaggio all’icona di Maria Salus Populi Romani e quell’icona volle a San Pietro in occasione della veglia di preghiera per la pace in Siria, il 7 settembre 2013. Con questa devozione, Francesco si univa a quella di tanti suoi predecessori e del popolo cristiano che per secoli ha venerato, reso onore, elevato suppliche a questa sacra immagine.

Conservata nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore, questa effigie, nella quale la Madonna rivolge uno sguardo tenero, dolce, di madre, è carissima al popolo romano, tanto da essere considerata “palladio”, scudo che protegge la città.

Fu papa Paolo V a volere, nel 1611, che l’icona fosse posta nella cappella Paolina, in uno sfarzo che rende onore all’immagine  sì austera, ma umile di Maria, in essa raffigurata. La figura di Maria  è a mezzo busto, con in braccio Gesù Bambino che benedice con la sua piccola mano e con l’altra reca in mano il Vangelo. La Madonna ripete il gesto di benedizione – e com’è bella quest’umile ripetizione del gesto del Figlio – con la mano destra; questa però non è sollevata, ma si giunge alla sinistra nell’abbraccio a Gesù. È una Madonna “odigitria” o meglio “odegetria”, cioè è la raffigurazione di “colei che mostra la via”. Si tratta di un’icona bizantina, che il Pontificale romano ipotizza sia stata portata a Roma da sant’Elena nel suo viaggio in Terrasanta. A porla nella Basilica di Santa Maria Maggiore fu Papa Liberio, che la scelse per la grande venerazione che la circondava. Infatti una tradizione cara al popolo cristiano vuole che a dipingerla fosse stato lo stesso evangelista san Luca. Più che dipingere, egli avrebbe copiato un’effige “Acheropita” (non fatta da mano umana): “La madre di Dio di Lidda”. Essa risalirebbe al tempo in cui gli apostoli convertirono la popolazione della città di Lidda, in Palestina. Qui la tradizione vuole che Pietro e Giovanni eressero una chiesa consacrata a Maria e a Ella domandarono di visitarla: la Madonna li avrebbe rincuorati, dicendo loro che sarebbe rimasta sempre al loro fianco. Subito dopo, entrati nella nuova costruzione, videro miracolosamente impressa su una colonna l’immagine della Vergine, “realizzata senza mano d’uomo”; per l’appunto “acherotipa”. In seguito Maria avrebbe visitato personalmente la piccola chiesa di Lidda, benedicendo i due apostoli e conferendo, con quella visita. grazie particolari a quella effige.

Il primo prodigio attribuito a questa immagine sacra risale al IV secolo, quando Giuliano l’Apostata, avrebbe avuto notizia dell’icona miracolosa impressa sulla colonna di quella chiesa eretta in una lontana città dell’Impero, e chiese che fosse distrutta. Però ogni tentativo dei muratori di scalfire o togliere il colore si sarebbe dimostrato vano, perché la pittura sembrava aver penetrato la pietra nel profondo.

La tradizione lega la “Salus Populi romani”, la copia attribuita a san Luca, a una vicenda che risale al periodo delle lotte iconoclaste e che la rese un simbolo della difesa dell’arte sacra contro la furia distruttrice. Agli inizi del 700 l’icona sarebbe stata custodita da un monaco palestinese, san Germano, del quale è nota la sua particolare devozione alla Madonna, che la nascose con grande coraggio e la portò con sé a Costantinopoli, dove fu proclamato patriarca. Esiliato nel 730 dall’imperatore Leone l’Isaurico, la tradizione vuole che prima di imbarcarsi, paventando il rischio della distruzione della Salus, egli scrivesse una lettera a papa San Gregorio Magno per poi porla sull’icona che fu affidata al mare. Miracolosamente, l’icona sarebbe giunta a Roma e san Gregorio Magno, dopo un sogno premonitore, l’avrebbe accolta lungo le rive del Tevere: giunto sul luogo a lui indicato in sogno, iniziò a pregare e l’effige emerse dalle acque per posarsi tra le sue mani.

Anche se probabilmente leggendaria, questa narrazione lega in maniera indissolubile l’icona a san Gregorio Magno. E questo perché fu proprio durante il suo pontificato che la Salus populi romani fu al centro di uno degli eventi più prodigiosi accaduti nella città di Roma.  La peste si era abbattuta sulla città eterna, falcidiandone gli abitanti. Papa Gregorio accompagnò in processione l’immagine della Madonna lungo le vie che portano dalla basilica di Santa Maria Maggiore a San Pietro, seguito dal popolo in preghiera. All’improvviso dal cielo risuonò un coro di angeli che intonava: Regina Coeli laetare, alleluia/Quia quem meruisti portare, alleluia/Resurrexit sicut dixit, alleluia. Il papa aggiunse: «Ora pro nobis Deum, alleluia».

Per tutti questo fu il segno che Roma si sarebbe salvata dal morbo, un’impressione che si rafforzò quando si vide distintamente l’arcangelo Michele rinfoderare la sua spada sulla Mole Adriana, che da quel giorno fu appunto rinominata Castel Sant’Angelo.

Un’altra processione prodigiosa per liberare la città da un’ulteriore epidemia di peste si svolse sotto il pontificato di san Pio V (1504 – 1572): anche stavolta un segno dal cielo, una luminosità intensa, indicò che le preghiere del popolo a Maria e la sua materna intercessione avevano fatto breccia nel cuore del Signore.

La tradizione popolare attribuisce a questa effige sacra un altro prodigio avvenuto nel periodo di papa Sergio II (844-847). Durante una messa presieduta dal Papa, l’icona cominciò a scuotersi. Il popolo, spaventato, cantò il Kyrie ed essa si immobilizzò, ma subito dopo si mosse, lasciò la chiesa dirigendosi verso il Tevere, seguita dal popolo in processione; prese il fiume e poi il mare e, proprio com’era giunta a Roma, il giorno seguente arrivò a Costantinopoli dove fu “ricevuta” dal Patriarca San Metodio. Fu così venerata nella chiesa di Chalkopratia, fu detta la “romana” e la sua festa fu fissata l’8 settembre. Racconto leggendario, ma che ha reso questa immagine sacra una sorta di ponte tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente.

Se quelli narrati sono prodigi più o meno leggendari, resta che la “Salus populi romani” per secoli è stata dispensatrice di grazie ai tanti fedeli che vi si sono accostati in preghiera.

Proprio questa diffusa venerazione ha fatto sì che gli artisti dell’epoca rinascimentale prendessero come modello la “Salus Populi Romani” e grazie alle innumerevoli copie da questi riprodotte essa è ormai conosciuta ovunque: i gesuiti furono particolarmente devoti a questa immagine e non stupisce che i loro primi missionari che partirono per la Cina ne portassero con sé delle copie affidandosi alla materna protezione di Maria ; in Russia, alla fine del XVI secolo, una copia fu dipinta da Teofane il greco e posta nella chiesa della Trasfigurazione a Novgorod. In Etiopia è considerata l’icona canonica del Paese.

Quando Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione al Cielo della Vergine Maria, nel 1950, le volle rendere omaggio, attribuendo alla Madonna la salvezza di Roma dalla calamità della guerra. Lo stesso papa Pacelli, nel 1954, nel centenario proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione, indisse un anno mariano e, con l’enciclica Ad Caeli Regina, proclamò la regalità della Madonna. Al termine dell’anno mariano fissò la festa di Maria Regina il 31 maggio (in seguito fu spostata al 22 agosto, una settimana dopo l’Assunzione): in questa occasione portò la Salus Populi romani a San Pietro per incoronarla solennemente davanti a tutto il popolo dei fedeli (chi volesse vedere un brevissimo video di questo evento può cliccare qui).  Paolo VI, che definì solennemente Maria come Madre della Chiesa, ponendola sotto la sua potente protezione, si raccoglieva spesso in preghiera in ginocchio davanti a questa immagine sacra. Benedetto XVI dispose che la “Salus populi romani” fosse portata in pellegrinaggio a Colonia nella giornata mondiale della gioventù del 2005, la prima svolta durante il suo pontificato, insieme alla croce che accompagna questi eventi.

Alla “Regina felice”, secondo un’espressione di uno scrittore cristiano ripreso dall’enciclica di Pio XII succitata,  san Germano ha dedicato numerosi scritti. In uno di questi si legge: «Siccome tu hai presso il Figlio tuo l’ardire e la forza di una madre, con le tue preghiere e le tue intercessioni salvi e riscatti dalla punizione eterna noi, che siamo stati condannati dai nostri peccati e non osiamo neppure guardare verso l’altezza del cielo».

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