29 Marzo 2017

Russia: i settemila di Navalny

Russia: i settemila di Navalny
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Le avventure-disavventure di Aleksej Navalny hanno occupato pagine e pagine di giornali. Fiumi di inchiostro sono stati versati per descrivere l’ardimentosa sfida al Cremlino del blogger in servizio permanente effettivo, accreditato come punto di riferimento di un dissenso sempre più ampio verso il regime.

 

Sua l’iniziativa che ha visto coinvolte cento città della Russia, teatro domenica scorsa di altrettante manifestazioni sincrone. Motivo della protesta la corruzione dei dirigenti del partito di Putin, con particolare riferimento al primo ministro Dmitrij Medvedev.

 

I giornali italiani hanno dato grande risalto alla notizia della repressione avvenuta nell’occasione, raccontando nei minimi dettagli l’arresto di Navalny e il fermo di altri 500 manifestanti. La mano dura del regime ha alimentato l’usata ondata di critiche verso Putin, al quale, da quando è intervenuto in Crimea e in Siria, viene ascritto ogni sorta di crimine.

 

L’iniziativa di Navalny, o dei suoi suggeritori, rivela una grande inventiva. L’eco delle manifestazioni contemporanee avvenute in cento città diverse si è diffusa  nel mondo, a indicare un avvenimento invero epocale.

 

Così il Corriere della Sera di lunedì 27 marzo poteva scrivere che, da Mosca, la protesta si era estesa «a san Pietroburgo: e poi a Ekaterinenburg, Novosibirsk, Tomsk, Krasnoyask, Khabarovsk, Vladivostok sul Pacifico. E perfino in zone remote come Barnaui, nell’Altaj e Chita, nel Transbajkal».

 

Un evento in controtendenza con quanto riportavano gli stessi giornali fino a quattro giorni fa, che ascrivevano a Putin un consenso interno che non conosce eguali nel mondo occidentale.

 

E questo non solo perché egli controllerebbe tutti i media del Paese, ma perché i russi gli riconoscono il merito di averli tratti fuori dall’abisso nel quale erano precipitati nell’era Eltsin (beniamino dell’Occidente), durante la quale la Russia è stata ridotta alla fame e messa ai margini del consesso internazionale.

 

Insomma, c’è un’evidente contraddizione  tra la narrativa mainstream precedente alle manifestazioni di domenica e quella postuma. Come conciliare infatti la grande popolarità di Putin con l’esteso dissenso evidenziato dalle manifestazioni suddette?

 

Soccorre a questo proposito la matematica. A Mosca, secondo il resoconto della Repubblica, non certo un quotidiano pro-Putin, hanno sfilato «7.000 persone».

 

Sempre Repubblica, nel dare il numero complessivo dei manifestanti delle varie città, si tiene sul vago; si tratterebbe infatti di «decine di migliaia di persone».

 

Mosca ha dodici milioni di abitanti: il dissenso di 7.000 persone non fa che confermare la grande popolarità di Putin. Una manifestazione per aiutare un gattino malato avrebbe avuto maggior riscontro di pubblico…

 

Se si tiene conto che quella moscovita è stata la mobilitazione più “imponente”, vuol dire che in ciascuna delle altre città hanno sfilato meno di mille persone.

 

L’idea geniale, come accennato in precedenza, è stata quella delle manifestazioni sincrone. L’effetto mediatico successivo, quindi, non è legato alla massa di persone scese in piazza, una percentuale da prefisso telefonico, quanto alla somma, meglio all’accumulazione dei luoghi in cui si sono svolte.

 

Tanto fumo, poco arrosto, insomma. Peraltro i numeri rispecchiano quanto rilevato solo alcuni giorni fa dall’Istituto demoscopico indipendente Levada (peraltro accusato da Mosca di essere al servizio della Cia): Navalny gode dell’un per cento dei consensi nazionali e Putin dell’84 per cento…

 

I media russi hanno affermato che molti dei ragazzi fermati erano stati pagati. Il prezzario prevedeva 10 euro per le manifestazioni periferiche e 100 per le città più importanti, con bonus in caso di arresto.

 

È un particolare ricorrente nelle manifestazioni di piazza che hanno caratterizzato le rivoluzioni colorate nei Paesi dell’ex Unione sovietica e i moti della primavera araba. Lo sanno un po’ tutti ma è materia che non interessa l’informazione mainstream, così non ce ne interesseremo neanche noi.

 

Quel che invece va sottolineato è l’evidente incongruità della narrazione: tutti i media hanno tuonato contro la repressione di regime e, allo stesso tempo, hanno magnificato la portata epocale della protesta.

 

La cosa bizzarra è che un governo dipinto come repressivo ha autorizzato manifestazioni organizzate dall’opposizione in cento città diverse. Altri regimi filo-occidentali, vedi ad esempio l’Arabia Saudita o la Turchia (che pur in contrasto con l’Occidente resta nella Nato), avrebbero fatto altrettanto?

 

Altra cosa interessante: tutti i media si sono soffermati sugli scontri di Mosca: è qui che la polizia ha arrestato Navalny e i suoi. Nulla si dice riguardo ad azioni repressive avvenute in altre città, e questo perché queste si sono svolte senza incidenti di sorta.
La polizia, infatti, è intervenuta solo a Mosca. E ciò perché il corteo aveva violato la zona rossa, infrangendo il divieto di manifestare nelle strade adiacenti al Cremlino.

 

Un po’ quel che sarebbe successo a Roma domenica scorsa quando nella città eterna sono convenuti i leader europei per celebrare i sessanta anni della Ue: anche qui era prevista una zona rossa che i vari cortei di protesta organizzati per l’occasione non potevano violare. Un divieto che, se infranto, avrebbe fatto scattare l’intervento della polizia, con fermi e arresti.

 

Navalny ha giocato la sua carta in maniera scaltra: ha volutamente provocato l’intervento della polizia per dare rilievo internazionale all’iniziativa, come infatti è accaduto.

 

Non si tratta di magnificare le magnifiche sorti e progressive della democrazia russa, che pure ha i suoi limiti. Si tratta solo di guardare con il necessario disincanto la narrazione mainstream che, come visto, contiene evidenti contraddizioni.

 

Ma al di là della distorsione mediatica propria dell’ossessione anti-Putin che contraddistingue certa narrativa occidentale preda di un maccartismo di ritorno, le manifestazioni di domenica rappresentano un segnale che il Cremlino non può ignorare.

 

Impegnato a rilanciare la Russia sullo scacchiere internazionale, il presidente russo è chiamato a far fronte anche a una sofisticata sfida interna. Potrebbe rappresentare una complicazione di difficile gestione. Con effetti anche sulla proiezione internazionale della Russia.

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