1 Dicembre 2018

Netanyahu riprende i raid in Siria

Netanyahu riprende i raid in Siria
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Ieri sera Israele ha attaccato la Siria in maniera massiva (Debka), come non accadeva da tempo. Per la precisione da quando è stato abbattuto un aereo russo, colpito dall’antiaerea siriana a causa di una improvvida manovra di jet israeliani.

Questa almeno l’accusa di Mosca, che da allora ha blindato i cieli siriani consegnando a Damasco gli S-300.

L’attacco di ieri è la prima decisione di Netanyahu da ministro della Difesa, carica che ha assunto dopo le dimissioni di Avigdor Lieberman. E segna il rilancio dell’assertività israeliana in Siria.

Netanyahu e i due fronti

Un’evoluzione che avevamo previsto, dato che Lieberman aveva finora frenato sul cosiddetto Fronte Nord, preferendo concentrarsi sulla criticità di Gaza.

Al contrario di Netanyahu, che vuole tutte le risorse dell’apparato militare israeliano concentrate nello scontro con l’Iran.

Conflitto ad ampio raggio, quest’ultimo, che va dal Libano, dove c’è Hezbollah, alla Siria, in cui Tel Aviv denuncia una minacciosa presenza iraniana, alla stessa Teheran.

Anzi, Netanyahu reputa necessario chiudere la conflittualità di Gaza, che lo allontana dai Paesi arabi sunniti.

Da questo punto di vista, tanti giornali israeliani hanno sottolineato la grande vittoria di Netanyahu, che è riuscito a cancellare la questione palestinese dall’agenda mondiale e, in particolare, da quella araba.

Il fronte sunnita

Tale rimozione sta alla base del nuovo dinamismo di Tel Aviv, che sta stabilendo rapporti diplomatici col mondo arabo-sunnita, prima impensabili, diretti a costruire un fronte anti-iraniano guidato da Israele.

Tale evoluzione è descritta in una nota di Ben Caspit per al Monitor dal titolo più che significativo: “Perché l’Iran è anche un vantaggio strategico per Israele”.

Per Caspit il nuovo dinamismo iraniano in Medio oriente, determinato dalla sua vittoria nella guerra siriana, incute timore ai Paesi sunniti, che quindi si rifugiano nelle braccia di Tel Aviv.

E conclude: “Per quanto riguarda Netanyahu, la situazione attuale può essere congelata così per sempre. L’Iran può continuare a essere uno Stato nucleare ‘a soglia’ [cioè averne la potenzialità senza però ottenerla, ndr.] che minaccia la regione, mentre Israele raccoglie gioiosamente i frutti”.

Vincere o stravincere

Tale scenario stabilizzerebbe la regione. Ma l’attacco di ieri in Siria segnala che il premier israeliano vuol andare oltre. Non si accontenta di uno stallo vincente, vuole stravincere, com’è peraltro della sua storia politica.

Tanto che, dopo l’attacco, Caspit ha scritto un articolo di tutt’altro segno, ipotizzando uno scenario da guerra aperta con l’Iran o Hezbollah. Anche a costo di “sacrifici” per Israele, come da dichiarazioni di Netanyahu.

Scenario da incubo, non solo per il Medio oriente. Conclude Caspit: “Data la teoria del sacrificio, sarà lasciato a Netanyahu di prendere la decisione finale. Sarà la decisione più difficile che abbia mai dovuto prendere da quando è entrato in carica nel 2009”.

Una norma introdotta da poco prevede che il potere di iniziare una guerra è appannaggio del Premier e del ministro della Difesa. Cariche che non a caso Bibi ha cumulato dopo le dimissioni di Lieberman. Così l’attacco in Siria è segnale che l’ipotesi di Caspit non è affatto peregrina.

Tra Kerch e il G-20

Due osservazioni finali sulla tempistica dell’attacco. Non sembra un caso che sia stato condotto subito dopo la crisi di Kerch tra Russia e Ucraina.

La Russia si è posta a baluardo della Siria. La criticità ucraina rende tale determinazione più impegnativa, dal momento che Mosca è così costretta a un ingaggio su due distinti fronti.

Inoltre, non sembra un caso che il bombardamento in terra siriana sia avvenuto mentre si apriva il G-20.

Probabile che Netanyahu abbia voluto portare al centro dell’attenzione dei grandi riuniti a Buenos Aires la questione iraniana, che vuole diventi il focus della criticità globale.

Se davvero vuole scatenare una guerra, al di là della scala più o meno ridotta della stessa, gli serve sostegno internazionale.

Tale scenario catastrofico può essere evitato. Ma serve l’inserimento di nuove  variabili per bloccare l’ingranaggio di un meccanismo già avviato.

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