20 Giugno 2025

Iran. Trump dà due settimane alla diplomazia. L'atomica del Pakistan

di Davide Malacaria
Iran. Trump dà due settimane alla diplomazia. L'atomica del Pakistan
Tempo di lettura: 5 minuti

Due settimane: questa la tempistica che si è data Trump per decidere se attaccare o meno l’Iran. Ciò per dare un’opportunità alla diplomazia per risolvere la crisi, ha aggiunto, concetto ribadito dal ministro degli Esteri britannico David Lammy che oggi, insieme ai suoi omologhi di Francia e Germania, si incontrano a Ginevra con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi.

Un incontro che poteva saltare se fosse riuscito il piano israeliano di assassinare Araghchi, come ha rivelato il suo consigliere Mohammad Hossein Rangbaran, il quale ha spiegato che il suo Paese ha sventato “un’ampia cospirazione” contro il ministro.

Non ci sono conferme indipendenti della rivelazione, peraltro tenuta bassa anche dall’Iran, che non vuole dare pubblicità al fatto che Israele ha ancora agenti attivi nel Paese (tanti sono stati arrestati).

Ma appare più che plausibile, dal momento che Tel Aviv sta cercando in ogni modo di ostacolare la diplomazia, e parte di questo impegno si è concretizzato nell’assassinio di tutti i funzionari che avevano preso parte ai negoziati con gli Usa (tranne Araghchi).

Due settimane, quindi, per porre fine a questa follia evitando l’escalation, ma Trump ha abituato il mondo a repentini cambiamenti di idea e potrebbe attaccare prima. E, però, tale dilazione potrebbe essere funzionale a pianificare l’attacco.

Da decenni gli Usa elaborano piani di attacco contro l’Iran, ma un conto sono i piani stilati a tavolino, un altro è metterli in atto in scenari in rapida evoluzione. Infatti, è alquanto ovvio che agli strateghi Usa serve tempo per mettere in sicurezza le basi sparse in Medio oriente – ad esempio, non c’è più un aereo in quella del Qatar – e per far arrivare in zona la portaerei Nimitz.

US military aircraft no longer visible at base in Qatar: satellite images

Ma a quanto pare devono anche decidere come muoversi. Secondo Axios, nelle riunioni per decidere il da farsi, Trump sta chiedendo a un gruppo ristretto di funzionari tre cose: se l’attacco è “davvero necessario”; se l’eventuale operazione può “trascinare gli Stati Uniti in una guerra prolungata” e se un attacco può “distruggere il programma nucleare dell’Iran”.

Infatti, iniziano a sorgere dubbi sul fatto che le bombe bunker buster, che sono le uniche a poter causare danni all’impianto nucleare di Fordow, il più strategico, e solo gli Usa possono sganciare, possano riuscire allo scopo. Tanto che circolano ipotesi sull’uso di un’atomica tattica, opzione che, sempre secondo Axios, Trump non prende in considerazione.

Report: Pentagon Agency Believes US Needs To Drop A Nuke To Destroy Iran’s Fordow Nuclear Plant

Le acrobazie di Trump 

Se si sta a quanto riferisce Axios, e non abbiamo dubbi sulla veridicità di questi resoconti (che invece abbiamo su altri), Trump sembra porre criticità ai suoi consiglieri, per lo più convinti della necessità di attaccare.

Come se cercasse di prendere tempo per trovare una via di uscita al tunnel nel quale l’hanno cacciato, anche grazie alla sua arrogante egomania, il premier Netanyahu e i suoi sodali Usa. Una via di uscita che potrebbe arrivare da un accordo in extremis con l’Iran, invero difficile, o da un attacco spettacolare, ma su scala ridotta, che chiuda la partita senza gravi conseguenze.

Non è un’ipotesi aleatoria, dal momento che si basa su un precedente, quando Trump, avendo deciso di attaccare la Siria nel 2018 per punire l’asserito uso di armi chimiche da parte di Damasco – accusa infondata, come al solito – diede il via a un bombardamento tanto spettacolare quanto breve, “one shot”, e inoffensivo, per dichiarare subito dopo “missione compiuta” (Piccolenote).

Raid Siria: Trump, "falco riluttante"

Certo, allora era la Siria e con l’Iran è tutto diverso, anche perché in questo caso Israele è direttamente coinvolto, a differenza del regime-change siriano che lo vedeva attore ombra. Ma potrebbe tentare qualcosa di simile, in altre forme e modi.

Resta che si tratta di una prospettiva davvero difficile: troppe le pressioni e le incognite di questo rebus impazzito che ha nella follia di Netanyahu un motore imprevedibile e perverso, come dimostra il genocidio di Gaza (ieri sono stati uccisi altri 84 palestinesi, molti dei quali nei pressi degli aiuti).

Israele non deve aver preso bene la dilazione, nonostante i proclami roboanti del premier, dal momento che più passano i giorni, più piovono missili iraniani e più la situazione del Paese si fa critica. Domanda: possibile che Trump intenda logorare il suo aggressivo alleato, nella speranza che tra due settimane si decida ad accettare condizioni meno massimaliste per porre fine al conflitto?

Quanto ai negoziati, sebbene Araghchi si sia recato a Ginevra, ha precisato che si limiterà ad ascoltare i suoi interlocutori, mentre da Teheran hanno fatto sapere che non apriranno negoziati con gli Usa finché Israele continuerà a bombardare, smentendo le indiscrezioni che stiano trattando.

Probabile che siano vere tutte e due versioni, cioè che si stia trattando sottobanco, attraverso vari mediatori, ma non tanto sul nucleare, quanto sugli sviluppi del conflitto, che ad oggi, nonostante lo scambio di colpi, resta comunque parzialmente limitato (sia l’Iran che Israele potrebbero portare attacchi ben più devastanti degli attuali).

L’atomica islamica

In attesa, resta da segnalare il ruolo del Pakistan che, come scrive The Cradle, ha rotto “i ranghi e sostiene l’Iran nella guerra con Israele”. Un sostegno ad ampio spettro, anche militare, dal momento che potrebbe essere un canale di transito per gli armamenti diretti all’Iran, con il quale confina.

Pakistan breaks ranks, backs Iran in war with Israel

Strano Paese il Pakistan, dal momento che ha strettissimi rapporti con la Cina nonostante la decennale dipendenza dagli Stati Uniti. Ma, nonostante tale dipendenza, in questo conflitto si è schierato apertamente con Teheran, anche perché nella recente guerra contro l’India, come rivela The Cradle, “gli operatori di droni israeliani che si trovavano nelle sale operative indiane […] hanno cercato di colpire gli impianti nucleari pakistani”. Tentativo sventato, ma non per questo passato inosservato.

Più che importante un passaggio dell’articolo: “Una fonte del Ministero degli Esteri pakistano ha rivelato a The Cradle che Islamabad ha segretamente avvertito Washington di una possibile escalation nucleare qualora Israele attaccasse l’Iran con tali armi”. In pratica, se usano il nucleare, avranno una risposta nucleare, dal momento che il Pakistan ha 175 testate.

Probabile, conclude The Cradle, che sia anche per questo che gli Stati Uniti hanno convocato in tutta fretta il Capo dell’esercito pakistano Asim Munir, che ha avuto l’onore di essere ricevuto nella Casa Bianca dal presidente (al Jazeera).

Trump embraces Pakistan: ‘Tactical romance’ or a new ‘inner circle’?

Non è dato sapere l’esito dell’incontro, ma appare difficile che il Pakistan receda dalla sua posizione, dati i rapporti con Pechino. Se la deterrenza atomica sarà preservata, dovrebbe eliminare dal già tragico scenario mediorientale la variabile più disastrosa (condizionale d’obbligo).

Concludiamo riportando come anche il vicepresidente della Commissione Intelligence del Senato Usa, Mark Warner, in un’intervista alla MSNBC, ha ribadito che lunedì i senatori hanno avuto conferma che nulla è cambiato rispetto alle informazioni rese pubbliche a marzo dalla direttrice della National Agency Tulsi Gabbard, cioè che l’Iran non persegue l’atomica. A proposito di guerre illegali e immotivate.

 

Piccolenote è collegato da affinità elettive a InsideOver. Invitiamo i nostri lettori a prenderne visione e, se di gradimento, a sostenerlo tramite abbonamento.

 

Mondo
18 Giugno 2025
Iran: il bivio di Trump