4 Luglio 2025

Il disinteresse di Trump per la guerra ucraina

di Davide Malacaria
Il disinteresse di Trump per la guerra ucraina
Tempo di lettura: 5 minuti

A fine giugno Mosca ha annunciato di aver conquistato tutta la regione di Lugansk, una delle quattro regioni che aveva dichiarato parte della Federazione russa all’inizio della guerra. Il destino manifesto di un conflitto che Kiev non può che perdere, sconfitta che né essa né soprattutto i suoi sostenitori esteri hanno intenzione di ammettere, così che questa guerra per procura continua a macinare vite.

Pochi giorni dopo, l’amministrazione Usa ha annunciato la sospensione di una parte degli aiuti diretti a Kiev (missili e contraerea), stanziati dalla presidenza Biden, ché la nuova finora non ha deliberato nulla, anzi. L’amministrazione Trump ha fatto sapere che la misura serve a spingere Kiev a prendere il considerazione la pace (Washington Post).

Trump administration to pause future deliveries of military aid to Ukraine

È chiaro da tempo che Trump, avendo constatato che non riusciva a imporre la pace ai suoi riottosi alleati, e soprattutto ai suoi sponsor, ha lasciato che il conflitto facesse il suo corso nella speranza che i rovesci li convincano a più miti consigli. D’altronde ormai è chiaro a tutti la guerra è persa.

La scommessa della controparte, le élite liberal-neocon e i loro vassalli europei, è quella di continuare a logorare la Russia per impedire che possa dispiegare appieno la sua proiezione globale, che la vittoria conclamata renderebbe ancora più forte.

Nonostante gli allarmi su un’immaginaria espansione russa nel Vecchio Continente, la banale e falsa teoria del domino usata già per il Vietnam, quel che temono veramente è che una Russia uscita vittoriosa da una guerra mondiale – che tale è il conflitto ucraino dati gli attori coinvolti (i Paesi Nato e i loro alleati) – possa guadagnare ancora più influenza in Medio oriente e in Africa, ma soprattutto faccia da volano alla già spinta ascesa dei Brics.

La guerra ucraina: una questione di prestigio...

Mosca è perfettamente conscia di questa manovra così, in parallelo alle operazioni militari, sta moltiplicando i suoi impegni diplomatici nel mondo, continuando a tessere una tela che l’impegno profuso nel conflitto e nel contrasto alle operazioni terroristiche cui deve far fronte al suo interno, il lato oscuro del conflitto stesso, non riescono a disfare.

A proposito del lato oscuro del conflitto, non va trascurata la guerra occulta che Mosca deve sostenere sui mari: sono già cinque le petroliere affondate dopo aver fatto scalo nei porti russi per rifornirsi di petrolio, la famosa flotta ombra che smercia l’oro nero sanzionato.

Una guerra non dichiarata che vede impegnati i sommozzatori della Nato e in particolare della Gran Bretagna, l’unica che può fare queste operazioni oltre all’America – che non è interessata, come accennato. Un’azione diretta contro la Russia, brandita con pericolosa spregiudicatezza.

Mosca per ora ha evitato di rispondere, ma i suoi sommergibili potrebbero farlo: sono tante anche le petroliere britanniche che solcano i mari. E si può immaginare cosa succederebbe se la Russia si decidesse in tal senso. Azzardo sconsiderato, dunque (peraltro, in epoca green, tutto questo petrolio in mare… forse quello russo non inquina).

En passant, si può notare come le modalità dell’affondamento, mine magnetiche piazzate sulla linea di galleggiamento, ricalchino in maniera impressionante una serie di attacchi ad alcune petroliere in transito nei mari d’Arabia avvenuti nel 2019 e attribuiti allora, falsamente, all’Iran. Una prova ulteriore che i sabotaggi di allora non erano opera di Teheran.

Il fatto è che certe operazioni segrete hanno il vizio di reiterarsi sempre uguali a se stesse, tale la banalità del male, come nel caso degli attacchi ai bombardieri strategici russi condotto con le stesse modalità usate per colpire gli obiettivi strategici e gli alti dirigenti iraniani nel primo giorno della guerra tra Tel Aviv e Teheran: l’ingresso clandestino di droni nel territorio nemico, i laboratori di assemblaggio, l’attacco coordinato con quelli più palesi.

Né è possibile che Tel Aviv abbia avuto tale idea dopo l’attacco ai bombardieri russi, dal momento che l’aggressione all’Iran è avvenuta poco dopo quello, mentre per preparare entrambe le operazioni sono occorsi diversi mesi (probabilmente hanno preso l’abbrivio in parallelo). Tale l’interconnessione delle due guerre e dei protagonisti delle stesse.

Al di là di questi particolari, e per tornare alla guerra ucraina e al disinteresse americano per la stessa, riportiamo l’incipit di un articolo di Jennifer Kavanagh per Responsible Satecraft: “La settimana scorsa le forze russe hanno conquistato un prezioso giacimento di litio nella regione di Donetsk”.

Trump and Keith Kellogg Trump's silence on loss of Ukraine lithium territory speaks volumes

“[…] Il giacimento di litio in questione è considerato piuttosto esiguo dagli analisti del settore, ma si dice che rappresenti comunque un premio appetibile per la concentrazione e l’alta qualità del minerale che vi si trova. In altre parole, è proprio il tipo di risorsa che l’ amministrazione Trump sembrava ansiosa di sfruttare quando ha firmato il tanto pubblicizzato accordo minerario con l’Ucraina all’inizio di quest’anno”.

“La risposta di Washington? Silenzio. La perdita non ha suscitato alcuna reazione degna di nota da parte del presidente Donald Trump o dei suoi consiglieri. L’Ucraina e i suoi sostenitori, i quali speravano che l’accordo avrebbe creato un interesse statunitense forte e a lungo termine per l’Ucraina e per il suo futuro in termini di sicurezza, rimarranno sicuramente delusi”…

A proposito, nel frattempo Macron ha chiamato Putin e ci ha parlato per due ore, primo contatto da tre anni a questa parte. Di certo è il segnale che Macron ha capito che le cose non vanno come sperava, ma non ha alcun peso sul fine guerra. In realtà, e al di là delle chiacchiere sull’Ucraina, i report ufficiali riportano che hanno parlato a lungo del Medio oriente e dei missili iraniani.

La decurtazione dell’arsenale missilistico iraniano è un’ossessione per Macron, la mission che Tel Aviv gli ha affidato e che persegue da anni, collegando i colloqui sul nucleare di Teheran a tale questione, sulla quale l’Iran non cederà mai, ovviamente.

Ma i due leader avranno parlato anche del Libano, la perla della corona francese, sulla quale Parigi sta perdendo sempre più la presa a causa delle manovre Usa e delle forzature israeliane. E che l’adesione di Beirut agli Accordi di Abramo, attualmente a tema, se avverrà, allontanerà vieppiù. Probabile che Macron abbia chiesto un aiutino allo zar per conservare almeno un predellino nel Paese.

We will recognize the State of Palestine soon, Macron tells Asharq News

Come è probabile che abbia discusso dell’iniziativa transalpina volta a riconoscere a breve lo Stato palestinese in coordinamento con l’Arabia Saudita. Un’iniziativa che doveva partire il giorno successivo a quello dell’attacco israeliano all’Iran, quindi posticipata. La tempistica la dice lunga sulla lungimiranza di Macron e sull’inanità dell’iniziativa, pure benemerita. Un modo per lavarsi la coscienza per aver partecipato, con tutto l’Occidente, del genocidio dei palestinesi.

 

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