8 Gennaio 2015

Charlie Hebdo: l'11 settembre della Francia

Charlie Hebdo: l'11 settembre della Francia
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L’11 settembre francese non è ancora finito. I due killer (e il palo) che hanno condotto l’operazione contro il giornale Charlie Hebdo sono ancora ricercati in tutta la Francia. E la psicosi dilaga.

Ma torniamo alla strage di ieri, che ha mietuto dodici vite. I due uomini in camicia nera che hanno compiuto il massacro hanno dimostrato «sangue freddo in tutte le fasi»,  spiega un’ex guardia del corpo dell’agenzia France Press a Davide Frattini in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera di oggi (titolo: Un’azione militare con troppi errori).

 

Continua Frattini: «Nervi saldi e attenzione ai dettagli: uno degli attentatori corre per recuperare una scarpa da tennis caduta dall’auto usata nell’operazione, non vuole lasciare tracce. “Non sprecano proiettili – fa notare la stessa fonte dell’agenzia di Afp -, è chiaro che sanno maneggiare i fucili mitragliatori”». Usano bene il kalashnikov, dettaglia ancora il Corriere, «lo tengono vicino al corpo, non sventagliano a casaccio, i fori nella vetrata sono precisi, uno vicino all’altro. “Sono in totale controllo delle loro azioni e delle loro armi”, spiega alla televisione francese René-George Querry, già capo di una squadra di anti-terrorismo della polizia».

 

In un’intervista rilasciata alla Repubblica, Marek Halter, scrittore e filosofo francese ebreo amico dei giornalisti uccisi, aggiunge: «I terroristi sapevano che la riunione di redazione si teneva il mercoledì mattina [vi partecipano tutti i giornalisti, momento propizio per compiere un massacro ndr.], conoscevano i locali, e sapevano chi uccidere».

Ricapitolando: questo attentato ha visto in azione soldati ben preparati, truppe speciali, ed è stato preceduto da un lavoro di intelligence accurato.

 

L’unico errore avviene all’inizio, quando i due killer sbagliano civico e invece di entrare nella redazione si dirigono verso i locali dell’archivio del giornale, chiedono delucidazioni per poi puntare verso il loro vero obiettivo, due passi più in là. Errore bizzarro per un’operazione così ben pianificata, come anche quello che vede uno dei terroristi dimenticare la carta di identità sull’auto (un terrorista che porta con sé la carta d’identità?). Nel frattempo i due hanno modo di dire ai loro allibiti interlocutori che appartengono alla consociata al Qaeda.

 

Molti commentatori reputano che i tre siano stati formati in uno dei tanti campi di addestramento sparsi tra l’Iraq e la Siria. Probabilmente vero, anche se resta la certezza che non bastano due o tre mesi di addestramento per tirare su degli agenti operativi così efficaci. Servono anni di addestramento e di azioni non simulate.

 

Unità d’élite, tanto che i tre non compiono un’azione suicida, usuali nelle azioni targate al Qaeda, ma si dileguano. Una fuga alquanto tranquilla, nonostante l’operazione sia durata una decina di minuti e nonostante la polizia sia stata allertata quasi subito (tra l’altro in una nazione in cui l’allerta terrorismo era altissima, tanto che il presidente Hollande ha riferito di altri attentati sventati nei giorni precedenti).

 

Evidentemente, oltre all’attenta pianificazione, i terroristi hanno avuto la fortuna dalla loro. Colpisce infatti un altro particolare che si nota nei video della strage: la strada adiacente l’ingresso del giornale resta sempre sgombra, così che l’auto dei terroristi conserva libera la via di fuga (particolare importante in simili operazioni).

 

Per molti versi questo attentato è simile a quello avvenuto al museo ebraico di Bruxelles lo scorso giugno. Anche allora l’attentatore (solitario in quel caso) usò un kalashnikov e si dileguò senza problemi. Di seguito l’autore della strage, un marocchino affiliato al network del terrore, venne arrestato, ma sul suo reale coinvolgimento nella vicenda sono stati espressi autorevoli dubbi (sul punto rimandiamo a Debka File, sito israeliano molto ben informato).

 

Inutile ripetere, lo abbiamo detto fin troppe volte, che il terrorismo griffato Isis è nato nel brodo di coltura della guerra siriana, dove diversi Paesi occidentali, Francia compresa, hanno finanziato e addestrato terroristi di tutto il mondo per scagliarli contro Assad. Inutile ripetere che i servizi siriani, e non solo loro, avevano anche allertato l’Occidente sul pericolo insito in questa follia. Chi semina vento raccoglie tempesta, proverbio purtroppo precipuo nel caso specifico.

 

Tre considerazioni conclusive. Dichiarazione di Marine Le Pen, leader del Front National (intervista alla Repubblica di oggi): «Dobbiamo essere chiari e dare un nome al pericolo. È finito il tempo dell’ipocrisia. Come siamo arrivati a questo? Qual è il percorso degli assassini? Chi li finanzia?». Domanda invero interessante quest’ultima, stante che a oggi, nonostante tutte le intelligence del mondo siano sollecitate sul tema, non si dà notizia di un solo conto corrente individuato come sede di transito di fondi diretti a finanziare il terrorismo internazionale.

 

Ancora Marek Halter sulla Repubblica: i terroristi «vogliono costringere uno Stato di diritto a reagire brutalmente, far sì che i democratici la smettano di comportarsi come tali, per spingere la maggioranza dei musulmani verso gli islamisti. Vogliono creare una psicosi antimusulmana nel mondo occidentale, in modo che tutti i musulmani si sentano minacciati e aggrediti, diventando potenzialmente arruolabili dalle brigate dello Stato islamico».

 

La terza conclusione è più banale. Contro la piovra del terrore non basta l’Occidente, serve una cooperazione internazionale. La Russia, con i suoi rapporti in Medio Oriente e la sua intelligence, è una risorsa indispensabile per contrastare il mostro. E invece si accelera nella direzione opposta, attraverso il meccanismo delle sanzioni e altro, in un confronto folle e senza via di uscita. Se ne deve essere accorto anche il povero Hollande, che il 6 gennaio, giorno prima della strage, aveva detto: «Penso che le sanzioni ora debbano fermarsi. Se ci sono dei progressi devono essere revocate».

La strage di ieri, giorno tra l’altro nel quale la Chiesa Ortodossa celebrava il Natale, rischia di far passare in secondo piano un eventuale riavvicinamento con Mosca, che resta una priorità per tentare vie di riequilibrio in un mondo impazzito.

 

Ps. L’Italia è un obiettivo come Parigi. E Roma è comparsa più volte nei proclami dello strano Califfo del terrore. Possibile obiettivo la Chiesa e, nello specifico, il Papa. Ma non sfugge la delicatezza anche del momento  politico, con l’appressarsi delle elezioni del prossimo Capo dello Stato: chi mira alla destabilizzazione potrebbe approfittarne per mettere a segno un’azione eclatante. In fondo, nonostante la pochezza dei suoi governanti, il Bel Paese resta importante per l’equilibrio del Mediterraneo. Speriamo nello stellone.

 

Nella foto: Je suis Charlie, la frase che sta accomunando il mondo che rigetta la barbarie terrorista.

 

 

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