5 Luglio 2025

Gaza: o l'accordo o una guerra senza fine

di Davide Malacaria
Gaza: o l’accordo o una guerra senza fine
Tempo di lettura: 5 minuti

Hamas ha risposto positivamente alla proposta di tregua americana, che sembra ricalchi l’ultima proposta Witkoff con alcune modifiche. Nel comunicato ufficiale ha dichiarato di essere pronta “ad avviare immediatamente un nuovo ciclo di negoziati sul meccanismo di attuazione di questo quadro”.

Nel citare il comunicato suddetto, il Timesofisrael riferisce indiscrezioni filtrate da Hamas, secondo le quali la milizia palestinese nel corso delle trattative vorrebbe rafforzare le garanzie sul fatto che il cessate il fuoco sia duraturo, stabilire una tempistica più celere per il ritiro israeliano da Gaza e che i palestinesi possano ricevere aiuti reali, bypassando la Gaza Humanitarian Foundation, il volto umanitario del genocidio (di questi giorni la rivelazione che, oltre all’IDF, anche il personale di sicurezza della Fondazione ha sparato sui civili affamati).

Hamas responds ‘positively’ to truce offer, says it’s ready to start proximity talks

Rispondendo a una domanda sulla risposta positiva di Hamas, Trump ha espresso soddisfazione, anche se ha aggiunto che non ha dettagli in proposito. E ha ribadito la sua fiducia nella possibilità che si arrivi a una tregua “tra una settimana”.

Insomma, tutto sembra convergere verso una soluzione di questa immane tragedia, se non fosse che resta l’incognita Netanyahu, che ha già fatto fallire tutti i negoziati pregressi.

Sembrava che stavolta fosse più propenso a chiudere la vicenda, ma quanto accaduto giovedì nel vertice tra i responsabili della Sicurezza e i ministri più importanti del governo getta ombre su tale ipotesi.

I media arabi e israeliani riferiscono di uno scontro furibondo tra il Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir e i ministri di ultradestra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, con questi ultimi che hanno accusato il generale di non aver raggiunto gli obiettivi stabiliti. Critica alla quale Zamir ha replicato con asprezza, affermando che era l’esatto contrario, avendo conseguito tutti gli obiettivi stabiliti.

Netanyahu, IDF chief said to clash in stormy meeting over plans for Gaza

Esplicitando, i ministri hanno rimproverato Zamir di non aver portato a compimento la soluzione finale dei palestinesi, da cui l’importanza della replica, che vede l’esercito recalcitrante sulla prospettiva.

Ma se tale scontro era ovvio, meno ovvio quello tra il generale e Netanyahu che, facendo eco a Smotrich che aveva chiesto di assediare il Nord della Striscia, ha sollecitato il generale a predisporre un piano di evacuazione per il Sud.

Richieste alle quali il generale ha replicato: “Volete un governo militare? Chi gestirà due milioni di persone? Gestire tutte queste persone affamate e arrabbiate potrebbe portare a una perdita di controllo. La situazione potrebbe esploderci in faccia”.

A quel punto, Netanyahu avrebbe alzato la voce e insistito: “Se ne occuperanno l’esercito e lo Stato di Israele. Non voglio un regime militare, ma voglio che vengano trasferiti in un’area nella quale abiteranno i civili. L’alternativa è una completa rioccupazione della Striscia e questo significa uccidere gli ostaggi. Non lo permetterò”.

Una reazione alquanto imperscrutabile, che sembra dettata dalla necessità di preservare la fiducia di Smotrich e Ben-Gvir, anche se da una prospettiva attenuata. Infatti, rispetto alle loro pressioni per un’espulsione di massa e l’annessione della Striscia, Netanyahu sembra preferire una soluzione intermedia: la creazione di un campo di concentramento in cui stipare i palestinesi.

Quindi in cauda venenum: il vertice si è concluso con questo ordine del premier al generale: “Preparate un piano di evacuazione: voglio vederlo sulla mia scrivania quando torno da Washington” (lunedì si deve incontrare con Trump alla Casa Bianca).

Il quadro che ne emerge è alquanto inquietante, anche se non sorprendente: dal momento che nella proposta di tregua made in Usa non è previsto alcun piano di evacuazione, è alquanto ovvio che Netanyahu sta fingendo di assecondare la spinta di Trump per un accordo con Hamas, mentre lavora per tutt’altro.

La grande scommessa è se Trump riuscirà ad aver ragione dell’ostinazione del premier israeliano. Le lusinghe, il pubblico sostegno e le offerte di aiutarlo ad ampliare gli Accordi di Abramo non hanno mutato il suo orientamento. Serve altro. C’è solo da aspettare e sperare che Trump riesca in qualche modo ad aver ragione di tanta sanguinaria ostinazione.

Ben Samuels, su Haaretz, argomenta tale dialettica, che vede Trump impegnato nel costringere il riluttante primo ministro israeliano a porre fine alla guerra e conclude scrivendo che Netanyahu non può mettersi contro il presidente americano. Si spera che abbia ragione.

Will Netanyahu Dare Slap Trump in the Face by Refusing to End the Gaza War?

A margine, va rilevato come sia di grande interesse il contrasto tra il governo e l’esercito israeliano, mai così acceso dall’inizio dell’aggressione di Gaza. Non è un contrasto tra buoni e cattivi, ché l’IDF ha dato prova di una brutalità indicibile. Ma tra un generale che comunque prende atto della realtà e la follia di un governo che non fa i conti con essa.

Istruttivo, ad esempio, un articolo di Zvi Bar’el, sempre di Haaretz, nel quale, tra le altre cose spiega quanto sia erronea l’idea che eradicare Hamas dalla Striscia e controllare manu militari gran parte di essa garantirebbe la sicurezza futura di Israele, nella speranza che nel tempo i palestinesi prendano la via dell’esilio, cosa che secondo Bar’el è una pia illusione.

Va tenuto presente, scrive Bar’el, che “più di 2 milioni di persone vivono nell’enclave e stanno subendo la peggiore calamità della loro vita e della storia del popolo palestinese. Tutto ciò non può essere misurato solo dal numero delle persone uccise, che oscilla tra 50.000 e 100.000, a cui si aggiungono centinaia di migliaia di feriti, orfani e vedove, carestia, malattie e la perdita del futuro di un’intera generazione”.

“Questo trauma nazionale di dimensioni epiche non può essere guarito da poche centinaia di camion di aiuti umanitari, per i quali i cittadini di Gaza hanno pagato con la vita. Gaza è il terreno fertile su cui cresce la resistenza nazionale e non potrà che trasformarsi in una lotta armata più dura, in una guerra costante e sanguinosa contro Israele”.

“Questa resistenza potrebbe non chiamarsi più Hamas o Jihad Islamica. Vedremo invece organizzazioni, bande e milizie che non avranno bisogno di missili a lungo raggio o droni esplosivi. Quando il nemico sarà vicino, le loro armi saranno i fucili disponibili in grandi quantità, granate e ordigni esplosivi improvvisati”.

“Israele potrebbe scoprire che la conquista del territorio è stata la parte più facile della guerra, proprio come hanno scoperto gli americani in Afghanistan e Iraq, e come ha fatto Israele durante i suoi 18 anni in Libano”. Considerazioni tanto realistiche potrebbero aiutare a favorire una via di uscita da questo inferno. Perché c’è un’unica alternativa a tale esito positivo ed è una guerra senza fine, come conclude Bar’el.

 

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