27 Febbraio 2014

Erdogan, Yanukovich e l'ipocrisia dell'Europa

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Un’intercettazione telefonica, il solito scandalo legato ai soldi: stavolta a farne le spese è Tayyp Erdogan. La conversazione telefonica carpita nel segreto è quella tra il premier turco e suo figlio, al quale il primo raccomanda di disfarsi dei soldi che ha in casa, pare 30 milioni di euro, e di fare lo stesso con altri soldi custoditi presso familiari. Nulla di nuovo sotto il sole. Ma la vicenda ha aspetti che la rendono di interesse internazionale: la Turchia si appresta ad andare alle elezioni amministrative, si terranno a fine marzo, e in prospettiva a elezioni presidenziali, nelle quali Erdogan si gioca tutto.

Una battaglia all’ultimo sangue si sta consumando ad Ankara: alla magistratura che ha indagato e messo in galera mezzo governo, Erdogan ha risposto esautorando magistrati e poliziotti inquirenti e mettendo il Csm sotto stretto controllo governativo; alle opposizioni che in quest’ultimo anno hanno invaso più volte le piazze turche, ha risposto con una dura repressione e la restrizione della libertà di stampa (e di internet).

Da tempo il premier turco accusa un complotto internazionale ai suoi danni, indicando nell’esule Fetullah Gulen, suo antico compagno all’interno della Fratellanza islamica, il burattinaio della vicenda. Forse c’è del vero in queste accuse, ma è vero anche che alcune leggi liberticide e  certa deriva autoritaria del suo governo stanno suscitando un vasto malcontento all’interno del Paese. 

La vicenda delle intercettazioni telefoniche costituisce un salto di qualità nello scontro in atto, dal momento che è la prima volta che a trovarsi nel mirino è direttamente Erdogan. La conversazione galeotta è stata fatta ascoltare in Parlamento dal maggiore partito di opposizione, Kemal Kiliçdaroglu, suscitando nuove ire del premier e nuove accuse di complotto. Vacilla Erdogan, ma non molla: dopo aver visto vanificato il sogno di un nuovo Medio Oriente del quale la Turchia avrebbe dovuto essere il nuovo faro (sogno infranto dalla caduta di Morsi in Egitto e dalla crisi di Ennadha in Tunisia), si ritrova impelagato nella guerra siriana, che aveva immaginato come un Blitzkrieg grazie al sostegno delle petromonarchie del Golfo e dell’Occidente, e contestato aspramente in casa.

Risponde con autoritarismo, Erdogan, ma se tira troppo la corda potrebbe giocarsi l’ingresso in Europa sul quale ha puntato tanto. Piccola considerazione a margine: se Victor Yanukovich in Ucraina avesse emanato le misure adottate da Erdogan in Turchia l’Europa avrebbe protestato ancora più aspramente, chiedendo con ancora più vigore, e ragione, il rispetto delle libertà democratiche. Invece con la Turchia si continua a dialogare nella prospettiva di un suo ingresso in Europa. Non che il dialogo Ue-Turchia debba essere interrotto – complicherebbe più che semplificare -, ma è un esempio per indicare l’ipocrisia che si è consumata in Ucraina, dove le cosiddette libertà democratiche sono state usate come una clava per abbattere un regime inviso, nel tentativo di assestare un colpo mortale alla Russia di Putin.

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