1 Luglio 2014

Israele: tre giovani vite rubate e l'incubo prossimo venturo

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E alla fine li hanno trovati, ma ormai è troppo tardi. I corpi di Eyal Yifrach, Gilad Shàer e Naftali Frankel, i tre ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno scorso, erano a pochi minuti di macchina dal luogo del rapimento. Pare siano stati uccisi subito dopo il sequestro. Come sia possibile che i loro corpi siano sfuggiti per venti giorni alle ricerche dei militari israeliani – Hebron è stata chiusa in una morsa di ferro e rivoltata come un calzino – nonostante si trovassero a due passi dal luogo del rapimento è un mistero che si somma ai tanti che hanno caratterizzato questo crimine assurdo quanto feroce.

Il governo israeliano ha reagito con la durezza che ci si aspettava: questa «è la fine di Hamas» è la dichiarazione che rimbalza sui quotidiani di tutto il mondo. Perché a questo movimento è stato da subito ascritto questo crimine. Netanyahu lo ha ribadito più volte in questi giorni, militanti e dirigenti di Hamas sono finiti in galera, alcuni uccisi. Questo nonostante le prove che accuserebbero tale movimento non siano mai state rese pubbliche.

Hamas si difende. La Stampa del 1 luglio riporta le dichiarazioni del suo portavoce, Sami Abu Zuhhri, che accusa Israele di «costruire una montagna di bugie al fine di montare un’offensiva contro di noi sebbene nessun gruppo palestinese, e tantomeno noi, abbia rivendicato questa azione».

In effetti, i dubbi sulla responsabilità di Hamas sono diffusi. Anche un neocon americano come Daniel Pipes, sfegatato sostenitore della causa della grande Israele, intervistato sulla Stampa del 1 luglio, deve ammettere: «Non abbiamo la conferma che il rapimento sia stato ordinato o condotto direttamente da Hamas. È possibile che lo abbiano deciso estremisti autonomi, intenzionati a far saltare così la nuova intesa fra questo movimento e l’Autorità palestinese». Un pensiero analogo a quello espresso da Antonio Ferrari, che per il Corriere della Sera segue le vicende mediorientali – penna particolarmente prudente quando tratta della dirigenza israeliana -, il quale, in un fondo pubblicato nello stesso giorno ha scritto:  «Ha ragione chi ritiene che il triplice sequestro e il triplice assassinio sia stato compiuto non soltanto dai nemici della pace, ma da qualcuno che voleva far saltare l’accordo di governo inter-palestinese fra i laici dell’Anp e i fondamentalisti di Hamas». E anche lui, piuttosto che su Hamas, invita a cercare gli autori del delitto tra i vari gruppuscoli legati ad Al Qaeda che brulicano in questo angolo di mondo.

Eppure nonostante le incertezze sulla reale responsabilità di Hamas e l’unanime certezza che questo crimine serva a far saltare la riconciliazione nazionale palestinese, sembra che gli autori del delitto abbiano vinto. L’accordo Hamas -Fatah sarà seppellito dal conflitto prossimo venturo che sembra al momento inarrestabile. Uno scontro che potrebbe rivelarsi più devastante dei precedenti, dal momento che l’obiettivo dichiarato di Netanyahu sembra essere la liquidazione finale dello storico avversario. Un conflitto in pieno ramadan, tempo santo per gli islamici, con un avversario costretto a lottare per la sopravvivenza: ingredienti di una escalation da incubo.

In tanti avevano sperato che l’accordo Hamas-Fatah potesse portare a un accordo più largo israelo-palestinese. Chi ha compiuto questo crimine ha mandato all’aria anche questa ipotesi, rafforzando gli opposti estremismi, come scrive ancora Ferrari: «È chiaro che tutto questo favorisce anche l’estrema destra israeliana, che sostiene e condiziona il governo di Benjamin Netanyahu, con il rischio di disegnare un ardito schema di opposti estremismi».

La pace è un ricordo lontano. Ora incombono le tenebre. Ma questo domani. Oggi è più forte il dolore per le prime vittime di questa guerra, tre giovani ragazzi per i quali Israele, e il mondo intero, ha pregato in questi giorni. E ora piange le loro giovani vite rubate.

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