2 Dicembre 2015

La Francia, il Patriot act e la dottrina Mitterrand

La Francia, il Patriot act e la dottrina Mitterrand
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La Francia non deve «fare come hanno fatto gli Stati Uniti dopo l’11 settembre con il Patriot Act», ha affermato Alain Touraine in una bella intervista ripresa sul nostro sito. Un allarme fondato, dal momento che all’indomani degli attentati di Parigi, il presidente François Hollande ha annunciato alcune riforme, compresa quella della Costituzione, che vanno esattamente in tale direzione.

 

Al di là dei (fondati) dubbi sull’utilità di una riforma costituzionale come mezzo di contrasto al terrorismo, val la pena, per dare un qualche contributo al dibattito in corso (non solo in Francia), tentare una breve retrospettiva sulla recente storia francese, in particolare su quella dottrina Mitterrand che nel passato è stata oggetto di controversia.

 

Fu proprio grazie a questa dottrina che la Francia divenne, ai tempi in cui il terrorismo insanguinava l’Italia, una sorta di seconda patria per tanti agenti del terrore. Inseguiti dalla giustizia italiana, essi trovavano al di là delle alpi un esilio felice, al riparo dal rischio di estradizione. Un luogo nel quale potevano agire liberamente, al di là di controlli e iniziative giudiziarie, come dimostrano anche i frequenti viaggi dei capi delle Brigate rosse presso la scuola di lingue Hyperion.

Una dottrina che ha trovato applicazione anche nella recente diatriba riguardante Cesare Battisti, oggi riparato in Brasile dopo un lungo braccio di ferro tra le autorità italiane e quelle transalpine.

 

A riguardo delle ambiguità del passato, un aneddoto di Giulio Andreotti: «Una certa tensione durava da tempo per l’ospitalità che la Francia dava a brigatisti italiani latitanti. Gli organi della polizia facevano specialmente pressioni sul nostro governo per l’estradizione dei responsabili di delitti contro agenti dell’ordine. In uno degli incontri intergovernativi Mitterrand accennò alla tradizione liberale dei francesi e disse che erano passati molti anni; la gran parte di questi esuli aveva borghesemente intrapreso piccole iniziative di lavoro e non militava in movimenti eversivi. Se qualcuno – aggiunse – fosse ancora “attivo” lo avrebbero consegnato. Gli risposi che in questo caso era meglio che se lo tenessero (30giorni, gennaio 1996)».

 

Un’ambiguità che lasciava interdetti e che sembra si sia prolungata nel tempo. Le inchieste sulla strage di Charlie Hebdo e sui recenti attentati parigini hanno fatto emergere un quadro inquietante: tanti dei protagonisti di queste pagine di cronaca nera erano noti ai servizi segreti transalpini, segnalati e schedati. Eppure giravano tranquillamente sul suolo francese, senza tema di controlli e di iniziative giudiziarie.

 

Una libertà che probabilmente veniva loro assicurata dal fatto che la Francia da tempo sostiene la defenestrazione di Assad (Hollande lo ripete dal giorno della sua elezione). I foreign fighters inquadrati nelle milizie jihadiste scatenate in Siria sembrava quindi potessero risultare utili allo scopo. Così tra questi e le autorità francesi sembra si siano stabilite delle tacite, quanto inconfessabili, convergenze parallele, in una rinnovata applicazione della dottrina Mitterrand.

 

Ora, dopo gli orrori parigini, la Francia ha finalmente deciso di cambiare registro (almeno si spera). E però per cambiare bastano ordinarie, quanto necessarie, norme preventive. Mentre appaiono molto pericolosi, quanto inutili allo scopo, gli annunciati progetti di riforma ispirati a una restrizione delle libertà individuali.

 

La dottrina Mitterrand, al contrario di quanto possa far supporre l’espressione, era in realtà una prassi, una prassi talmente forte da sovrastare le leggi dello Stato. Per fare un esempio: negli anni ’70 vigeva l’estradizione, ma, semplicemente, non veniva applicata.

 

Così, per cambiare tale dottrina non serve cambiare la Costituzione, basta abolire una prassi che, nel tempo, in nome della ragion di Stato, ha determinato un indebolimento del potere coercitivo (e protettivo) delle leggi ordinarie e una pericolosa ambiguità degli apparati di sicurezza.

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