5 Dicembre 2013

La scure della Consulta sul Porcellum

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Con una decisione storica la Corte Costituzionale definisce illegittimo il cosiddetto Porcellum, legge elettorale attualmente in vigore. Illegittimo il premio di maggioranza e illegittimo il sistema che non consente agli elettori di esprimere preferenze. La decisione ha ricadute sul Parlamento, che quindi si ritrova con molti dei suoi componenti eletti in maniera non consona alla Costituzione, in particolare quelli giubilati dal premio di maggioranza. Ma sul punto, la Consulta è giustamente alquanto ambigua, non dichiarando la decadenza automatica degli stessi: sarebbe il caos.

Il Parlamento è chiamato dunque a trovare un’intesa per una nuova legge elettorale che risponda ai fondamenti della Carta, anzitutto al dettato costituzionale della Repubblica che stabilisce la sovranità popolare, aggirata da alchimie legislative. Si vedrà se questa decisione riuscirà ad accelerare l’iter di una nuova legge elettorale, finora percorso assai accidentato. Come anche resta da vedere se questa decisione concorrerà ad allungare la durata del governo, almeno fino al licenziamento di una nuova norma in materia.

Non possiamo leggere il futuro, ma questa decisione getta una luce sul passato. Agli inizi degli anni ’90 ci fu grande battaglia sulla legge elettorale, grazie al famoso referendum di tal Mariotto Segni, politico ignoto ma figlio di un presidente della Repubblica sulla quale hanno gravato ombre golpiste. Sostanzialmente la spinta referendaria, coronata da successo universale (i Sì al referendum furono oltre il 90%), era volta a cambiare il sistema proporzionale abolendo le preferenze; queste ultime sarebbero state all’origine della creazione di un sistema clientelare, cosa peraltro in parte vera, anche se di clientele se ne sono viste tante anche dopo e forse peggiori delle precedenti. Il sistema proporzionale, invece, era visto come una sorta di male oscuro dell’Italia, perché ritenuto all’origine di una frammentazione politica eccessiva con conseguente ingovernabilità. Si è visto, anche in questo caso, che il gioco dell’ingovernabilità è continuato anche dopo, nonostante il sistema maggioritario; quanto alla frammentazione, è sotto gli occhi di tutti il ginepraio multiforme di partiti e partitini che sono fioriti dopo la fine di quelli vecchi.

Il referendum, insomma, era presentato come una sorta di panacea che avrebbe consentito un inizio nuovo all’Italia, consentendo stabilità e abrogando clientele. Così non è stato. Ha invece conseguito un cambiamento epocale nella politica italiana: se in precedenza il raccordo tra la base di un partito, i singoli aderenti allo stesso, e la sua dirigenza era fattore importante ma non decisivo, dopo il referendum le segreterie dei singoli partiti hanno assunto un ruolo centrale nella formazione delle liste dei candidati. Alla base del nuovo sistema, al di là delle diversità dei vari meccanismi che si sono realizzati in seguito alla vittoria referendaria, sta proprio il nuovo ruolo delle dirigenze dei partiti che hanno accentrato su di sé, a destra e a sinistra, la responsabilità delle candidature da proporre agli elettori. I partiti hanno così perso il loro radicamento territoriale, dal momento che non serve avere una base elettorale per essere eletti ma solo essere piazzati nei collegi giusti o nei posti chiave delle liste di candidati per cui è previsto il recupero (con meccanismi vari). Ingigantendo così il ruolo dei singoli dirigenti di partito.

La Consulta ieri ha detto che tutto ciò è illegittimo, viola la Costituzione nel suo fondamento, ovvero la sovranità popolare. Ci ha messo un po’ troppi anni, ma ormai è andata. Ma è difficile che gli attuali dirigenti dei partiti, siano essi vecchi o nuovi arnesi, abdichino al ruolo che gli è stato assegnato in quella circostanza ridistribuendo la sovranità ai legittimi proprietari, ovvero gli elettori. Più facile che trovino un meccanismo altro che permetta loro di continuare a essere gli unici dominus del gioco politico italiano. Così che il Parlamento continuerà a popolarsi di figure che in un sistema proporzionale prenderebbero sì e no una manciata di voti, ma che in compenso risultano simpatici o affidabili ai vertici dei vari partiti: colorate olgettine, ignoti spin doctor, banchieri, ragazzi di belle quanto vane speranze, creativi vari. Persone che nel sistema precedente al referendum non sarebbero state elette neanche in un consiglio circoscrizionale.

D’altronde il referendum ebbe luogo nel pieno della tempesta di tangentopoli, concorrendo con l’escalation giudiziaria ad abbattere un sistema che, con tutti i suoi innegabili limiti, aveva comunque portato il Belpaese a diventare una delle otto nazioni più influenti del pianeta. Oggi non lo è più e il futuro che si intravede non lascia molto spazio alla speranza. Guardare indietro non è esercizio nostalgico: serve a comprendere le cose e a non ripetere errori. Historia magistra vitae. Ma le classi dirigenti attuali, non solo politiche, preferiscono la cronaca. Anche questo ne spiega la scarsa lungimiranza.

 

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