24 Dicembre 2015

Le elezioni spagnole e la crisi della democrazia europea

Le elezioni spagnole e la crisi della democrazia europea
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Le elezioni spagnole hanno confermato il profondo cambiamento che sta vivendo l’Europa. Dopo la Francia, anche in Spagna i cittadini hanno votato in massa soggetti politici anti-sistema. Certo, ci sono profonde differenze tra loro dal momento che un conto è il Front National transalpino altro è Podemos o i Ciudadanos iberici, come altro ancora sono i Cinque stelle italiani e altri movimenti e partiti assimilabili. E però i tratti comuni, pur se pochi, appaiono più importanti delle loro differenze.

 

Nelle distanze, infatti, tali soggetti politici hanno in comune la contestazione del meta-governo oligarchico di Bruxelles (da qui l’accusa di essere anti-europei). Una contestazione che a livello nazionale si esprime nella rivolta verso quei partiti tradizionali che nell’immaginario, più o meno veritiero, rappresentano i terminali locali di quell’inviso meta-governo.

Partiti e movimenti populisti sono anche definiti, a indicare che si tratta di soggetti politici che vivono di slogan e argomentazioni di più che basso profilo.

 

Altro tratto comune è che suscitano reazioni scomposte in gran parte delle élite dominanti – politiche, intellettuali e finanziarie – la cui critica si risolve, in sostanza, nella diffusione di allarmi per la loro avanzata. Allarmi relativi alla tenuta democratica, all’integrità dell’Unione europea e alla sua stabilità finanziaria. Una difesa improntata alla diffusione di un sentimento di paura, alla stregua di quanto accade, mutatis mutandis, per il terrorismo internazionale, quando invece l’Europa era nata e si è costruita attorno a tutt’altro: la speranza.

 

Si è detto che tali nuovi soggetti politici sono anti-europei. In realtà a essere anti-europee sono quelle élite che si sono impossessate di un progetto politico di alto profilo, che prevedeva l’unione dei destini dei popoli europei nel segno della condivisione di una speranza nuova, e l’hanno consegnato agli interessi delle oligarchie cultural-finanziarie che governano al di fuori di ogni legittimità democratica. Una deriva che mina la democrazia e sta polverizzando la classe media.

 

I cosiddetti movimenti anti-sistema, quindi, non rappresentano solo una contestazione di questo distorto status quo, sono soprattutto dei soggetti, per quanto abitati da slogan e parole d’ordine contraddittorie e a volte confuse (cosa peraltro presente, eccome, anche nei partiti tradizionali), tendenti a ripristinare la sovranità popolare in un sistema nel quale tale elemento fondante della democrazia è stato svuotato di tanto significato.

 

In questo senso è significativo, in un momento nel quale i partiti tradizionali vivono solo del momento elettivo e della gestione del potere, il fatto che tali soggetti politici muovano masse di cittadini e abbiano attorno a loro simpatizzanti e militanti.

 

La spinta rivoluzionaria di tali movimenti non è contrastata solo a livello culturale, ma anche attraverso un meccanismo non secondario della democrazia: la legge elettorale. Tale normativa non è una una tra le tante leggi dello Stato, ma il cardine della democrazia. Essa dovrebbe far esprimere, per delega, la sovranità. E però, in nome della governabilità (parola che nel tempo ha assunto significato strumentale se non esoterico), tale legge è diventata mero artificio tecnico, da usare per escludere la rappresentanza dei cosiddetti movimenti anti-sistema (vedi Gran Bretagna, Francia e, nelle intenzioni, Italia).

 

Laddove non arriva la legge, l’esclusione di tali soggetti politici avviene attraverso il metodo della coalizione di partiti più o meno accettati dalle oligarchie di Bruxelles, come sembra possa avvenire in Spagna (anche se è ancora tutto in fieri). Una democrazia esclusiva, dunque, paradosso di un sistema politico che dovrebbe avere nell’inclusione un altro dei suoi principi fondanti.

 

Ironia della sorte: nel nome della governabilità si sta costruendo un sistema sempre più ingovernabile perché basato, di fatto, sull’esclusione dei diritti politici di milioni di cittadini.

Avremo modo di tornare sul tema, ché lo scontro si annuncia articolato e di lunga durata, stante che il sistema oligarchico di Bruxelles si concepisce come irriformabile e continuerà a produrre esclusione e contestazione.

 

Ps. Altro indizio del distacco del meta-governo di Bruxelles dalla volontà reale dei cittadini europei riguarda la politica estera: mentre la Ue rinnovava le sanzioni contro la Russia, un sondaggio condotto dai tabloid britannici Daily Express e Sunday Express designava, con il 78% dei voti, Vladimir Putin come premier preferito dai britannici.

Esito analogo aveva un sondaggio Ipsos sul terrorismo internazionale e sul suo contrasto riportato ieri dal Corriere della Sera in un articolo dal titolo più che significativo: “Piace agli italiani l’interventismo di Putin”.

 

 

 

 

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