23 Giugno 2014

Lo smantellamento del Senato

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Si profila un accordo sulla riforma del Senato. Salve alcune modifiche, si va a consolidare l’idea di Renzi, e di chi per lui, di un’assemblea di nessun peso politico, non eletta dai cittadini, sorta di dopolavoro per dipendenti statali. Una riforma che i renziani stanno portando a compimento senza alcuna interlocuzione, grazie al mandato forte di una elezione alla quale hanno partecipato poco più della metà degli aventi diritto, peraltro per eleggere il Parlamento europeo. Infatti, l’idea che la riforma sia sintesi di un progetto condiviso, tale la narrazione dei media, è altamente offensivo a una media intelligenza. Berlusconi, infatti, è interlocutore improbabile, stante che l’uomo ha due uniche preoccupazioni: quella di non finire i suoi giorni in galera e di conservare, almeno in parte, l’azienda ai suoi figli. Va da sé che al tavolo delle trattative non ha molte carte da spendere. Ma al di là della sua sorte personale, Berlusconi non rappresenta più il centro-destra, dal momento che l’ex Cavaliere ormai cavalca quello che sembra sempre più un ex partito (l’area del centro-destra è in decomposizione e attende una ricomposizione).

Dal momento che l’interlocutore di destra appare alquanto improbabile, i giornali si sono premurati di indicare un altro soggetto dialogante, la Lega, che con il suo sei per cento, acciuffato per mancanza di alternative, rappresenta un interlocutore invero poco rappresentativo per un progetto sul quale dovrebbe convergere una larga maggioranza della classe politica italiana.

Ci sono dissidi tra i dialoganti, ma al momento sono su particolari di infimo interesse, se cioè ai senatori debba essere estesa o meno l’immunità che copre i deputati, questione di lana caprina stante la vacuità dei compiti dell’istituto nei quali i prescelti andranno a sedersi. Date le premesse, sembra improbabile che sul tavolo siano poste questioni serie, che riguardino cioè i poteri reali del Senato e la sua elettività. Permangono sacche di resistenza, anche interne al Pd, ma sembra che poco possano contro lo strapotere del renzismo, che deve la sua forza non solo al consenso elettorale, ma al potere reale che lo ha scelto e lo sostiene.

A questo proposito si segnala l’editoriale del Corriere della Sera di Angelo Panebianco che il 22 giugno riesce a giustificare il cambiamento del Senato come la chiusura di una brutta pagina della storia italiana. Secondo Panebianco il bicameralismo perfetto iscritto nella nostra Costituzione nacque dalla diffidenza reciproca dei partiti che la realizzarono: si era alla vigilia delle elezioni del ’48 e ambedue gli schieramenti si premunirono di creare una Carta che consentisse anche a chi avesse perso quelle storiche elezioni di partecipare al governo della cosa pubblica. Non solo, a contribuire alla creazione di quest’orrenda creatura, alla quale il renzismo finalmente porrà fine, anche la mentalità “assembleare” dei partiti socialisti e comunisti. “Stiamo per strappare una brutta pagina della nostra Costituzione”, chiosa l’editorialista.

In realtà quella di Panebianco sembra una brutta pagina di giornalismo, che per giustificare il renzismo procede a una revisione distorta della storia d’Italia. La Costituzione nacque dalle ceneri del fascismo e quanti vi misero mano, personaggi illustri della storia repubblicana non già un ragazzo di belle speranze, più che alle elezioni future pensarono alle non elezioni del passato, creando una carta che non consentisse la concentrazione di poteri nelle mani di alcuni perché non si ripetessero gli errori, ed orrori, del passato. Lo sanno bene, tra l’altro, i tecnici della Jp Morgan e della Goldman Sachs che in loro documenti riservati hanno individuato nelle Costituzioni dell’Europa meridionale, nate dopo il fascismo, un nemico da abbattere, o riformare che dir si voglia. Alle cui raccomandazioni rimandiamo quanti volessero approfondire, anche per certe assonanze, casuali ovviamente, tra l’analisi dell’editorialista del Corriere e il documento in oggetto, in particolare riguardo le venature “socialiste” della Carta.

Demolito il Senato, fatta una legge elettorale funzionale al partito di governo e altro, il renzismo avrà campo libero, al di là della figura istituzionale del simpatico quanto inane presidente del Consiglio che ne rappresenta un simbolo più o meno duraturo. La corsa al partito unico peraltro sembra essere iniziata, repentina e inarrestabile, con parlamentari di Sel, di Scelta Civica e altri e sparsi che si accalcano sul carro del vincitore. Con un moto che corre parallelo allo smantellamento di quella Costituzione che è stata baluardo e difesa della democrazia italiana.

La storia non si ripete mai allo stesso modo, né è possibile immaginare un nuovo fascismo, ma è facile prevedere per un futuro più o meno prossimo – stando al corso delle cose e salvo imprevisti – una restrizione degli spazi di agibilità in ambito politico da parte di soggetti altri dal sistema costituito, una costrizione all’azione penale (altra da una legittima limitazione di certe distorsioni della magistratura, peraltro levatrici del nuovo corso), un deficit di libertà di critica da parte dei media. Per rimanere alle manifestazioni macroscopiche del renzismo che già si possono agevolmente constatare.

 

 

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