Note mondiali (di calcio)
Tempo di lettura: 3 minutiMondiale di calcio finito, qualche cenno per un bilancio finale. Mondiale bello come pochi è l’opinione comune ed è vero. Non hanno sfolgorato stelle particolari, a parte qualche portiere e il colombiano James Rodriguez, ma si sono visti tanti bei giocatori, sia nella Germania vincitrice che in altre squadre. La Germania ha vinto infischiandosene dell’adagio che vuole le sudamericane far bottino in America, grazie alla solita organizzazione di gioco che fa dei panzer una costante di queste competizioni, ma anche grazie agli ottimi calciatori che ha sfornato negli ultimi anni, su tutti quel Schweinsteiger già noto alle cronache calcistiche.
Si sono viste alcune belle squadre, dalla Germania all’Olanda, dall’Argentina allo sciagurato Belgio (crescerà), ma anche la Colombia, che meritava più di quanto ha raccolto, e il Cile (purtroppo la Francia di Platini è stato fuoco fatuo). Anche le comprimarie hanno dato qualcosa, dall’Algeria al Messico, dalla Costa d’Avorio al Costa Rica (simpatica davvero quest’ultima, forse la vera rivelazione del torneo); come menzione va data ai marines Usa (forse è la prima volta che giocano a pallone, anche se sempre a modo loro) e alle agguerrite guardie svizzere, uscite dal novero delle squadre materasso. Mentre le delusioni del mondiale erano alquanto prevedibili: dal sopravvalutato Brasile di Neymar, dove l’unico giocatore guardabile è stato invece Thiago Silva, all’Italia etica di Prandelli (e non solo sua), che tanto etica non è, né lo diventerà. Come scontata era la sorte dell’Inghilterra, che i media da sempre designano campione all’inizio delle competizioni internazionali, per poi rivelarsi un bidone nelle fasi finali; e quella parallela della Spagna, condannata a scontare l’introduzione nel calcio del tiki-taka, sorta di calcetto a undici che sembra aver esaurito il suo corso, una buona notizia per gli amanti del pallone, che è altra cosa. La cosa paradossale è che questo torneo così spettacolare ha visto più catenaccio di altre competizioni del passato, anche se modulato e chiamato in maniera diversa, da qui le tante partite combattute. Per anni nostri commentatori e tecnici hanno inveito contro questa impostazione di gioco: perché rubava agli spettatori la bellezza del gioco, perché roba del passato, perché ormai si vince solo con l’attacco e altre fandonie simili ripetute fino all’autoconvincimento; cosa che rende difficile una pacata autocritica e, soprattutto, un qualche ripensamento.
Spiace per l’Africa, che la povertà condanna a una disorganizzazione oltremodo penalizzante, a fronte di una crescita di talenti costretti a cercar fortuna in campionati dove gira moneta. Mentre l’Asia conferma il suo gap, di gioco e di singoli: a nulla è valso il mondiale di Corea fortemente voluto dalla Fifa nell’intenzione di allargare il bacino di utenza, sfigurato dall’arbitro Moreno e dai capricci dei padroni di casa.
Le tante partite combattute sono segno ulteriore, semmai ce ne fosse bisogno, del livellamento del calcio internazionale; dove a un incremento qualitativo di giocatori cresciuti in Paesi non avvezzi alla sfera corrisponde un detrimento delle scuole storiche, incapaci ormai di sfornare fenomeni (nessun Van Basten in giro, né uno Scirea, per non citare i soliti noti della storia). Così a proposito di fenomeni, ci dobbiamo accontentare di tal Leo Messi, incensato come mai nessun giocatore della storia del calcio: quattro palloni d’oro e ora anche il titolo di miglior giocatore dei mondiali, premio che fa inorridire stante le prestazioni fantasmatiche in semifinale e finale e partite pregresse non certo da rubare lo sguardo. Ma tant’è, il calcio ha bisogno di miti, al momento ha trovato in lui. Di certo dopo questo mondiale è improbabile che qualcuno lo paragoni ancora a Maradona, del quale non è degno di allacciare gli scarpini (anche di altri, se per questo). Resta che il ragazzo è umile e questo lo aiuta a sostenere il peso di questa bolla mediatica che avrebbe insuperbito i più.
Comunque il carrozzone dei mondiali è andato: ha regalato emozioni, ha suscitato dibattiti, regalato allegria. L’appuntamento è, al solito, tra quattro anni. Da oggi si torna ai guardare i rispettivi campionati. Il nostro è quello etico, con il bollino blu, come il colore di quella nazionale che ci ha rappresentato così indegnamente in Brasile, infangando la storia, e che storia, del calcio italiano.