4 Febbraio 2016

Per Mosca si riapre la sfida che portò al crollo dell'Urss

Per Mosca si riapre la sfida che portò al crollo dell'Urss
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Gli Stati Uniti hanno annunciato che quadruplicheranno le spese militari destinate allo scenario europeo. Una risposta alla nuova aggressività di Mosca, hanno motivato, accennando alla crisi ucraina e siriana. Al di là della boutade sulla Siria (dichiarare aggressore l’unico Stato che sta davvero facendo guerra all’Isis – oltre alla Siria – è davvero eccessivo anche per la macchina della disinformazione), la notizia non è rassicurante.

 

I neocon non scartano a priori l’ipotesi di far diventare calda l’attuale Guerra fredda: lo dimostra il precedente georgiano, quando Mikheil Saakashvili attaccò la Russia forte dell’appoggio occidentale. La Georgia, nei piani dei dottor stranamore che lo avevano spinto al passo, avrebbe dovuto resistere al contrattacco solo qualche giorno. Il tempo necessario per montare l’opinione pubblica occidentale e fornire adeguato sostegno militare.

 

Una trama sventata solo dal fatto che Saakashvili perse la guerra prima ancora di iniziarla. Quel Saakashvili che ora è il governatore della strategica regione di Odessa, in Ucraina, e trama (ben supportato dall’esterno) per prendere il controllo del Paese (vedi l’Antidiplomatico). L’ipotesi che il mondo possa rivivere lo scenario georgiano, in caso di una sua riuscita, non è azzardata.

 

Ma al di là delle ipotesi più estreme, il rilancio della sfida americana in Europa ha anche altre spiegazioni. Anzitutto quello di rilanciare la sfida ucraina, dove la fragile tregua stenta e alcune regioni restano sotto l’influenza russa.

Gli accordi di Minsk sono stati possibili solo dopo la disfatta dell’esercito di Kiev: se salta Minsk la debacle di Kiev andrebbe a ripetersi, anzi sarebbe di proporzioni ancora più pesanti. Rafforzare l’apparato difensivo ucraino è quindi una necessità per quanti temono, o sperano, il riaccendersi di un nuovo conflitto.

 

Si tenga presente che una nuova crisi ucraina andrebbe a sommarsi a quella siriana: due fronti aperti per la Russia sarebbero davvero poco gestibili.

Uno scenario possibile, però, se la guerra siriana resta aperta. Anche per questo il tentativo negoziale di Ginevra, che doveva trovare qualche soluzione a tale tragedia, si è svolto sotto la pressione di ambiti intenzionati determinati a farlo fallire, come in parte è successo (è stato rimandato).

 

Del pericolo di trovarsi invischiati in due guerre locali sono coscienti anche i russi, che hanno accelerato le operazioni militari in Siria per chiudere la partita: iniziata a gennaio, la controffensiva dell’esercito regolare siriano, appoggiata dall’aviazione di Mosca, sta riportando vittorie significative.

 

Ma il vero nodo resta Aleppo, troppo vicina ai confini turchi per essere facilmente liberata dalle strette jihadiste. Attraverso tali confini, infatti, essi ricevono gran parte del loro approvvigionamento. Per questo i siriani stanno progressivamente chiudendo la linea che va dalla città al confine turco.

 

Se riusciranno, ribalteranno le sorti della guerra. Ma di certo i tanti sostenitori dei movimenti jihadisti (alleati dell’Occidente), turchi in primis, non resteranno con le mani in mano. E più Assad si approssimerà alla vittoria, più i rischi di un’escalation aumenteranno (la Turchia ha già pronto un  piano di attacco contro la Siria, e non da oggi).

 

Ma al di là degli scenari bellici, l’aumento del dispiegamento militare Usa in Europa sta a significare anche altro. Sembra che qualcuno abbia studiato a fondo la storia dell’Urss e voglia ripetere lo scenario che portò al suo collasso.

Sostanzialmente l’Unione sovietica, al di là delle ricostruzioni poetiche, andò in frantumi per tre motivi: l’abbattimento del prezzo del petrolio (vedi anche Limes del 4.11.2009); la logorante quanto dispendiosa guerra in Afghanistan; l’impossibile corsa agli armamenti nella quale si infilò per competere con gli Stati Uniti d’America.

 

Tre fattori che si ripetono: oggi come allora il prezzo del petrolio è ai minimi; il riarmo annunciato da Washington tenderà a innescare una nuova corsa agli armamenti a Mosca (che ha già promesso una risposta adeguata, anche se sembra intenzionata a non cadere nella trappola di un gioco al rialzo); mentre in uno scenario afghano rischia di evolvere, se il conflitto resta aperto, il conflitto siriano (quanto evocato a suo tempo anche dal neocon Daniel Pipes in un’intervista ripresa dal nostro sito).

 

Certo, da allora tanto è cambiato, anzitutto il nuovo asse con la Cina che oggi, a differenza di allora, è il motore dell’economia mondiale. Anche chi spera in un crollo di Vladimir Putin sa che se regge la stampella cinese egli ha chanches di tenuta.

 

Da questo punto di vista, allora, è interessante la dichiarazione di guerra di Georges Soros alla moneta di Pechino (vedi Nota). Notizia che va letta anche tenendo conto del fatto che il finanziere ungherese è stato uno dei più attivi sostenitori delle rivoluzioni colorate che hanno staccato da Mosca parte dei suoi alleati per consegnarli alla sfera d’influenza dell’Occidente.

 

Scenari da guerra mondiale fatta a pezzi. Nei quali non è in gioco solo il destino di Mosca…

 

Nella foto Georges Soros e l’attuale primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk

 

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