13 Febbraio 2014

Renzi non cede, Letta verso le dimissioni

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Letta tiene duro, ribatte colpo su colpo, ma non sembra ci siano possibilità che resti al suo posto. Oggi, alla direzione del Pd Matteo Renzi lo ha liquidato con una battuta. Da vedere se ci sarà il passaggio nelle aule o meno, ma sembra difficile. Più probabile una staffetta, così che Renzi è il terzo inquilino di Palazzo Chigi a sedervi senza aver avuto alcun mandato popolare. Una deriva preoccupante. D’altronde che la cosa si era messa davvero male per Enrico era stato palese quando lo aveva mollato anche Angelino Alfano, il quale in questo modo bissa quanto fatto a suo tempo con Berlusconi.

Renzi si appresta a diventare presidente del Consiglio per acclamazione, grazie a un’elezione interna al Pd, quella che lo ha eletto segretario. Il sindaco di Firenze ha vinto, anche se dovrà governare al modo del precedente governo, senza giovarsi, al momento, di quelle riforme che, abolendo il Senato e passando per elezioni blindate (poteva scegliere tutti i candidati del suo partito), gli avrebbero dato in mano un potere assoluto quale mai è stato conosciuto dalla Repubblica italiana. Ma tenterà lo stesso di fare le riforme durante la “sua” legislatura, tenendo aperto il canale di comunicazione con Berlusconi; cosa che quest’ultimo sembra voler assecondare per non finire i suoi giorni nell’insignificanza (e in galera). 

L’altra partita che si apre è quella del Quirinale: Napolitano, liquidando come una “sciocchezza” le elezioni anticipate, ha fatto capire a Renzi che non è un ostacolo ai suoi (sic) disegni. Ma Prodi scalpita e sono tanti ad assecondarne le mire quirinalizie. Lui che ha votato Renzi alle primarie e che, con quel gesto, si è candidato come uomo di riserva per “gestire” le derive autoreferenziali del ragazzo di Firenze. La partita del Colle si annuncia come un’altra partita aperta dagli esiti imprevedibili.

Perché Letta ha tenuto duro nonostante la sua posizione fosse di giorno in giorno sempre più insostenibile? Probabilmente perché se si fosse dimesso il suo destino politico sarebbe stato segnato per sempre: l’atto sarebbe suonato come una sconfessione del suo operato e un cedimento su tutta la linea al suo antagonista. Al massimo avrebbe guadagnato un posto importante dove trascorrere il resto dei suoi anni. Con la sua fermezza, invece, spera di aver guadagnato un posto di leader dell’opposizione a Renzi, all’interno del Pd o altrove.

Al di là, resta la vittoria di Renzi: si invera un destino manifesto. Vince su tutta la linea e, con lui, vince il ’68, ma su quest’ultimo punto torneremo, c’è tanto da dire…

 

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