Tragedie aeronavali e altro nel Natale 2015
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Parafrasando una nota espressione si può dire che ieri è stato un dies horribilis che poteva presentare un bilancio ancora più grave di quello che si sta palesando in queste ore: la scomparsa di un aereo malese, un Airbus dell’Air Asia con 162 persone a bordo, ancora disperse; l’incendio a bordo del traghetto Norman Atlantic, che a oggi sembra aver causato sette vittime (ma mentre scriviamo siamo ancora nel provvisorio); infine lo scontro navale al largo del porto di Ravenna tra un cargo turco e una portacontainer che ad oggi registra due morti e quattro dispersi. Tragedie che si sono rincorse durante il giorno, intrecciando le ore di lugubri messaggi.
Se la dinamica dell’ultima tragedia è alquanto chiara, uno scontro in mare, la prima presenta dinamiche più controverse legate all’imprudenza di lasciar andare per mare un’imbarcazione che ispezioni successive avevano indicato come inadempiente alla sicurezza. L’affondamento della nave greca suona ancora più simbolicamente lugubre oggi che la Grecia vede affondato l’ultimo tentativo di eleggere un presidente della Repubblica: si va a elezioni in un clima di tempesta.
Colpisce che le due tragedie nautiche siano avvenute nei mari italiani nello stesso giorno, infausto caso del destino per disavventure non certo quotidiane (l’ultimo disastro assimilabile, l’affondamento della Concordia, risale al 2012).
Come colpisce la reiterazione delle tragedie aeree in cui sta incorrendo l’aviazione malese: l’8 marzo di quest’anno è scomparso senza nessun motivo apparente il 777 della Malaysia Airlines, mentre a luglio è stato abbattuto un aereo della stessa compagnia in Ucraina (sulla vicenda abbiamo scritto, non ci torneremo).
Ancora dubbio il motivo della sparizione dai radar dell’airbus della AirAsia disperso ieri dopo la segnalazione di una tempesta in arrivo (alla quale era ben attrezzato a far fronte, come dimostra il felice atterraggio di altri sei aerei che percorrevano rotte analoghe).
Il fatto è che a questa sparizione si somma l’angoscia della tragedia aerea precedente: un boeing svanito letteralmente nel nulla, nonostante da mesi siano in corso ricerche in tutto il mar cinese con punte verso l’Oceano indiano. Un mistero che non ha eguali nella storia dell’aviazione moderna, che pure si avvale di tecnologie sofisticatissime. Tanto che sulla vicenda sono fiorite leggende che vedono in atto segrete cellule di Al Qaeda, che però non ha rivendicato alcunché, o fantasie legate all’esistenza in zona della base Usa Diego Garcia, una base segreta che poi tanto segreta non è, posta a presidio e controllo del mar cinese.
Di queste fantasie legate alla Diego Garcia accenna il Corriere della Sera del 29 dicembre. Una di queste vorrebbe che l’aereo «sarebbe stato abbattuto dai caccia americani che temevano un’azione suicida» contro la base. Fantasie, ovviamente, dal momento che per far sparire un aereo del genere occorrerebbero sofisticati sistemi di distorsione dei radar a terra e altro, non certo in dotazione di comuni caccia. Né è possibile, del caso, occultare i rottami caduti a mare.
Né è credibile l’altra ricostruzione che circola nel web: la Russia avrebbe avvertito la Cina di un attacco aereo tramite quel volo (forse un’atomica sporca, forse un pilota suicida), cosa che avrebbe spinto Pechino a chiedere all’aereo un atterraggio d’emergenza su un’isola del Pacifico lontana dal suolo patrio per effettuare verifiche. Invece l’aereo avrebbe virato verso la Diego Garcia dove poi sarebbe atterrato e sequestrato; a questo punto le versioni divergono: c’è che scrive di un’iniziativa del pilota, chi invece di un sequestro da parte dell’aviazione militare Usa, che avrebbe usato Awacs, aerei dotati di sistemi radar – e altro – altamente sofisticati, e caccia. Se questa fantasia nata su internet, supportata anche da supposte foto clandestine fatte dai passeggeri, spiega l’assenza di riscontri alle ricerche, appare più che inverosimile nei moventi: perché mai gli Usa avrebbero dovuto dirottare e far sparire l’aereo? E perché la Cina e la Russia tacerebbero?
Fantasie stile babbo Natale insomma, per restare in tema natalizio. Un Natale funestato da tragedie di cielo e di mare, come si è visto. E da un altro avvenimento, meno grave in sé, ma che suscita certa inquietudine. Ci riferiamo alla visita funebre di Alì Agca in Vaticano.
L’attentatore di Giovanni Paolo II è arrivato indisturbato fino all’ingresso della Basilica di San Pietro (si è poi acconsentito che deponesse fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II, scopo dichiarato della visita), senza che il suo viaggio sia stato segnalato alle frontiere e senza sia stata allertata la sicurezza vaticana (e dire che il livello di guardia dovrebbe essere alto dopo gli allarmi del recente passato). Tra l’altro, il lupo grigio ha anche chiesto di poter parlare con Francesco.
In realtà Agca aveva già provato a cercare un colloquio con l’attuale Papa nel corso del recente viaggio di questi in Turchia. Non l’aveva ottenuto, ma ciò non gli aveva impedito di organizzare una conferenza stampa nel corso della quale aveva affermato che «”la vita del Papa per me vale meno di 10 lire turche”, il doppio del prezzo “di una pallottola”», come ricorda Marco Ansaldo il 29 dicembre sulla Repubblica. A quanto pare anche il lupo grigio perde il pelo ma non il vizio. Il problema è che nel caso specifico, come già in quel tragico 13 maggio 1981, non sembra si tratti di un lupo solitario: altri lupi lo hanno aiutato nel suo viaggio, oggi come allora.
«Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso. Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!». Sono parole del Papa durante l’omelia della messa celebrata la notte di Natale. Certo, di fronte a certe tragedie e a certi avvenimenti inquietanti si vorrebbe (spesso si pretende che è il contrario della preghiera) una veloce risposta del Signore.
Ma i tempi del Signore non sono i nostri, per fortuna nostra e del mondo. Affidarsi a questa cronologia misteriosa quanto felice (così evidente in questo tempo di Natale) può risultare difficile, ma è motivo di speranza (ché la speranza, come da parole del Papa, è del Signore) e aiuta a liberarsi da certa faticosa inquietudine per partecipare, per quanto possibile, della pazienza del cuore di Dio.