13 Febbraio 2015

Ucraina: accordo fragile, ma provvidenziale

Ucraina: accordo fragile, ma provvidenziale
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È accordo in Ucraina, fragile ed esposto alle imprevedibili spinte di quanti non si rassegnano alla fine del conflitto. Sembra poca cosa ma è tanto, anzi tantissimo, dato che il mondo stava precipitando nell’abisso. Un accordo raggiunto quasi alla fine del mondo, per parafrasare una famosa espressione.

Gli Stati Uniti, infatti, erano pronti a dare al governo di Kiev armi pesanti, cosa che avrebbe provocato un’escalation dai contorni indefinibili. A oggi sono circa seimila i morti, ma con l’impiego di carri e aerei Nato saremmo arrivati ben presto alla mattanza, allargata ben oltre i confini attuali. Senza contare che quelle armi sarebbero arrivate anche in mano al famoso battaglione Azov e ad altri battaglioni governativi di chiara matrice neonazista. Una vera follia, un po’ come fornire missili all’Isis

Accordo difficile, che nelle ultime ore si è tentato in tutti i modi di far saltare. Scriveva Paolo Valentino sul Corriere della Sera il 12 febbraio: «Certo, se Merkel e Hollande [volati a Mosca per trattare con Putin ndr.] avevano sperato che la loro iniziativa di pace avesse un riscontro di moderazione sul campo, è successo esattamente il contrario. Tra martedì e ieri almeno 50 persone, tra soldati ucraini, ribelli russofoni e civili, sono morte in scontri o sotto i bombardamenti. E se da una parte i filorussi hanno tentato di consolidare i vantaggi acquisiti prima di firmare una eventuale tregua, dall’altro le artiglierie delle truppe ucraine hanno continuato a martellare i centri abitati russofoni, colpendo anche un minibus e un ospedale».

L’accordo prevede un cessate il fuoco a partire dal 15 febbraio, il ritiro di armi pesanti per creare una fascia smilitarizzata tra i due fronti, il rilascio dei prigionieri di guerra, il ritiro delle truppe straniere (nodo difficile da sciogliere per entrambe le parti), nuove elezioni nelle regioni del Donbass (sotto supervisione internazionale), un’autonomia delle regioni orientali da ottenere tramite un processo di devolution e riforma della Costituzione (la parte più difficile dell’accordo) e il ripristino dei pagamenti ai dipendenti pubblici da parte di Kiev nelle regioni orientali.

Come accennato, ci sono punti controversi in questo accordo, che saranno oggetto di ulteriori, difficili, trattative. Sempre che qualcosa non cambi e la parola non torni ai cannoni. Certi ambiti non si rassegnano ad aver perso la guerra. Già, perché Putin ha vinto: il solo fatto di aver resistito alle durissime pressioni internazionali, di aver conseguito una vittoria sul piano militare contro la Nato (questi i termini del conflitto al di là del ristretto ambito in cui esso si è svolto) e di aver tenuto fuori dall’accordo la Crimea (che quindi di fatto viene riconosciuta come regione russa), ne fanno il vero vincitore di questo braccio di ferro.

Non si tratta con questa constatazione di esaltare lo zar di Mosca, ma di evidenziare la scarsa lungimiranza della nuova dirigenza ucraina (a parte Poroshenko, che ne è la prima vittima) e degli ambiti neocon Usa che più di tutti hanno soffiato sul fuoco di questo incendio illudendosi che sarebbe bastata una robusta spallata a far cadere il castello di carta abitato da Putin. Non è stato così.

Ma proprio la scarsa lungimiranza che li contraddistingue, fa sì che questi ambiti continuino a sognare una lotta continua che li veda infine vittoriosi sull’odiato nemico. Una scarsezza di vedute alla quale sembra attagliarsi il detto che recita: «Dio acceca coloro che vuol perdere».

A essere celebrata sui giornali è la Merkel (Hollande è apparso ai più un mero accompagnatore, ma serviva ed è servito), che, liberandosi delle pastoie dell’Asse atlantico, si è posta come interlocutrice privilegiata tra i due contendenti riuscendo a strappare l’accordo. La Merkel che guida una Germania che, nello stesso giorno, ha alleggerito le sue posizioni verso la Grecia. Un uno-due che stupisce anzitutto quanti avevano osservato con preoccupazione le rigidità del passato. Forse non sarà un nuovo inizio, certo però conforta sapere che nel cuore dell’Europa abita ancora un barlume di ragione.

Grande assente di questa trattativa l’amministrazione Usa, che si è accodata solo in extremis all’iniziativa diplomatica franco-tedesca. Vero, ma è probabile che la Merkel abbia avuto luce verde previa dalla Casa Bianca, che non potendo fronteggiare certe aggressive pulsioni interne, ha lasciato ad altri il compito di sbrogliare matasse nelle quali non può entrare direttamente. Anche questo spiega il mancato disappunto di Obama che, proprio mentre si concludeva un accordo così importante che lo vedeva escluso, ha chiesto al Congresso poteri di guerra contro l’Isis: un modo per distogliere l’attenzione su quanto avveniva al di là dell’Atlantico e mostrare i muscoli a uso interno.

Non sappiamo se e quanto durerà. Ma ieri è stato un bel giorno per il mondo.

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