12 Agosto 2013

Belli, Pio IX e papa Francesco

di Paola Di Sabatino
Belli, Pio IX e papa Francesco
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Pio IX

«C’a Rroma co la mmaschera sur gruggno/ Ar meno se po’ ddì la verità», scriveva nel suo sonetto-manifesto il grande poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli. E fu proprio con quella «maschera sur grugno», ossia trincerato dietro la lingua «buffona» di popolani senza volto – per ragioni di poetica e necessità –, che quell’impiegato all’Ufficio del Registro pontificio poté guardare «a gruggno a gruggno» gli uomini del suo tempo e scolpire per la sua città quel «monumento» sul quale lavorò tenacemente per anni a suon di penna, tra graffiante comicità, ferocia e senso ludico; inchiodando, in una mole impressionante di componimenti, usanze, vizi, grandezze e ipocrisie della plebe romana e dei potenti del Regno pontificio, senza risparmiare ecclesiastici e papi.

Celebre in questo senso il sonetto Er Miserere de la Sittimana Santa: l’argomento del componimento è l’esecuzione del Miserere polifonico di Gregorio Allegri in san Pietro, all’ascolto del quale, il popolano che parla confonde il termine latino magnam (della frase Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam) con il romanesco maggna, rilevando che «Oggi sur maggna sce sò stati un’ora»; facile gioco di parole a ironizzare sull’ipocrisia e l’avidità che ascriveva ad alcuni uomini di Chiesa. Così come particolarmente famosi sono i tantissimi ritratti dedicati a vari pontefici di allora, immortalati nei loro difetti, vizi e tic.

Lo sberleffo di Belli, però, non è ironia fine a se stessa, ma satira diretta a denunciare le storture che affliggevano la Chiesa, impregnata di “mondanità materiale”, direbbe papa Francesco – ben diversa, per rimanere ancora alle parole del nuovo vescovo di Roma, dalla «mondanità spirituale» che l’affligge oggi, di gran lunga più pericolosa e tragica dell’altra.

Eppure, nonostante tutto il suo scetticismo e disincanto, che condivide con il popolino romano dal quale pure è solito prendere le distanze, Belli, la cui fede è alquanto dubbia, è pronto a stupirsi quando una vibrazione nuova, foriera di cambiamenti inattesi, attraversa la cristianità. Sono i tempi del risorgimento, e il liberale Belli condivide con tanti liberali e rivoluzionari italiani l’euforia per l’elezione di Pio IX, che sembra iscriversi nel solco dei mutamenti che, di lì a breve, avrebbero cambiato il volto della Penisola. Non fu così, perché la stagione dell’arruolamento forzato di quel nuovo Pontefice tra le fila risorgimentali fu breve. Eppure, ragioni politiche a parte, c’era altro in quel Papa che attraeva Belli. Tanto che, al di là delle alterne vicissitudini del Risorgimento, conservò sempre per quel Vicario di Cristo, a differenza che per altri, uno sguardo di stima e simpatia. 

«Sto Papa che cc’è mmò rride, saluta,/ è ggiovene, è a la mano, è bbono, è bbello…»: fu questo il benvenuto che il poeta romano rivolse a Giovanni Mastai Ferretti, salito sul soglio di Pietro il 16 giugno 1846. Un’elezione universalmente considerata una ventata di aria nuova per la Chiesa. A sottolinearlo sono le testimonianze di tutti gli storici e diaristi dell’epoca, nei cui scritti è evidente il clima di sorpresa e soprattutto di speranza suscitato da quel Pontefice dai modi gentili, informali, e dallo stile di vita sobrio, che alle sontuose carrozze circondate da guardie, preferiva le passeggiate a piedi per le vie di Roma.

«Ma cche bbon papa, eh? Mma cche animella!/ Si aspetti un papa simile, si aspetti,/ hai prima da vedé ssu ppe li tetti/ li merluzzi a bballà la tarantella […] È Ppapa, è vviscecristo, è cquer che vvòi:/ eppuro, va’, in parola da cristiano, a mmè mme pare propio uno de noi», si legge nel sonetto Er papa pascioccone. E in quell’immagine dei merluzzi che danzano sui tetti è icasticamente descritta la meraviglia popolare per quell’imprevista svolta nella Chiesa.

Belli, Pio IX e papa Francesco

Giuseppe Gioachino Belli

Una meraviglia che divenne ben presto partecipazione, seppur di lontano, alle vicissitudini del pontificato, che, all’inizio, si caratterizzò per lo spirito riformatore. In particolare quando, a pochi mesi dall’elezione, Pio IX appariva già evidentemente provato dalle pressioni esterne e dalle resistenze interne, circondato, come recitano i versi de La salute der papa, da «fijji d’un lupo e d’un’arpia». Scrive Belli: «Er Vicario de Ddio nun zete voi?/ Dunque dateje l’erba a ttutti-quanti,/ e ppoi lassate fà: cce semo noi». E in quel «cce semo noi», pronunciato dal popolano del sonetto senza alcuna ironia, è espressa tutta la vicinanza del poeta e della gente di Roma al suo vescovo. «Jeri, – si legge in proposito nella missiva del Belli inviata ad un cugino della moglie in data 14 maggio 1847 – giorno genetliaco del nostro buon Sovrano e pontefice, invece della solita tregenda, furon mazzolini di fiori lanciati in aria da varie migliaia di persone sulla grande piazza del Quirinale sotto gli occhi del Santo monarca, dopoché, tornato appena dalla ecclesiastica funzione del Laterano, ebbe ripetuta dal balcone del suo palazzo una benedizione, direi casareccia, all’affollato popolo che lo attendeva per augurargli lunga e prospera vita. Sua Santità era commossa, né meno commossa la moltitudine, che la ama di vero cuore e quanto Essa merita».

Una vicinanza che, a sua volta, lo stesso pastore non mancò di far sentire al suo gregge, come scrisse Giuseppe Spada in Storia della rivoluzione di Roma: «Il Santo padre proseguiva a mantenere il popolo in entusiasmo, perché oltre allo avere prodotto piacevole sensazione una sua visita di sera in casa Baldini in Borgo Nuovo, ov’era una povera inferma, ebbe la soddisfazione di veder coronato il suo appello alla carità dei cattolici per sovvenire i danneggiati dell’ultima inondazione del Tevere […] nuova sorgente di lodi e di benedizioni dalla parte dei miseri beneficiati mercé le sue amorevoli cure».

Le celebri uscite notturne di papa Mastai Ferretti per visitare personalmente i malati o i bisognosi della città costituiscono il tema dell’ultimo sonetto belliano dedicato a Pio IX, Una visita de nov’idea. Nel componimento, il papa arriva in incognito a casa di una povera vedova che gli aveva spedito cinque memoriali. La donna non identifica nell’«abbate» «arto e bbello» che ha suonato alla sua porta il pontefice. A riconoscerlo e gridarne il nome («Mamma, è Ppio nono!») è invece una bambina, la figlia piccola della «povera pezzente». Al di là del rovescio comico finale del sonetto (una volta svelata l’identità del visitatore, la povera vedova «stette guasi llì llì ppe avè l’onore/ de morijje d’avanti d’accidente»), colpiscono nello scritto di Belli la carità e la dolcezza di quel papa, che al suo arrivo nella misera abitazione saluta la donna «co bbona maggnera», addirittura «cacciannose er cappello» e che, nell’interloquire con lei «…bbono bbono,/ seguitava a pparlà cco ttant’amore».

Stupisce oggi papa Francesco, telefonando a ignoti o uscendo di sorpresa dalle sue stanze per visitare i lavoratori vaticani. Come al tempo a stupire uno scettico come Belli e il popolino di Roma era Pio IXSono cambiate molte cose da allora, nella Chiesa e nel mondo, né si possono fare impossibili paragoni. Ma è sorprendente rinvenire certe similitudini, certi tratti comuni tra papi tanto abissalmente diversi e lontani. E viene in mente la parabola evangelica, quella del padre di famiglia che dal suo tesoro estrae cose vecchie e cose nuove. Così da sorprendersi a pensare che forse, prima che al padre di famiglia, certe dinamiche appartengono al Padre celeste.

 

 

 

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