7 Marzo 2014

I poveri, tesoro della Chiesa, e le più antiche diaconie di Roma

di Pina Baglioni
I poveri, tesoro della Chiesa, e le più antiche diaconie di Roma
Tempo di lettura: 6 minuti

San Giorgio al Velabro

Alla  fine del VI secolo, l’unico organismo efficiente, capace di tenere insieme la compagine economica, sociale e politica di Roma era la Chiesa, guidata allora da papa Gregorio Magno. Nella cancelleria papale era stato organizzato un sistema di contabilità centrale in grado di gestire le spese per l’amministrazione papale, per le esigenze del clero, per la manutenzione degli edifici sacri e soprattutto per l’assistenza pubblica ai poveri.

Col progressivo indebolimento dell’amministrazione bizantina, negli ultimi decenni del VI secolo, la Chiesa si trovò costretta ad assumersi quasi per intero il compito di nutrire la popolazione di Roma e solo di rado il governo imperiale le venne in aiuto nella lotta contro la minaccia endemica della carestia. Quando Gregorio salì al soglio di Pietro, il 3 settembre del 590, questo stato di cose appariva ormai consolidato.

È proprio in questo periodo che riprendono forza le diaconie, edifici dedicati all’assistenza dei poveri e bisognosi, sulla scorta delle opere di carità già presenti nella Chiesa delle origini riportate dagli Atti degli Apostoli. Esempio mirabile di diacono, a Roma, era stato Lorenzo, martirizzato nel 258 al tempo della persecuzione di Valeriano: a lui, responsabile della cura dei poveri, era stato concesso qualche tempo, dopo la cattura dei suoi confratelli e del Papa, per raccogliere i tesori della Chiesa e consegnarli alle autorità civili. Lorenzo, dopo aver distribuito il denaro disponibile ai poveri di Roma, condusse costoro alle autorità, presentandoli come il vero tesoro della Chiesa.

Insomma, fu su questo straordinario esempio di carità precedente che, nel VI secolo, le diaconie ripresero vita. Innanzitutto  attorno al Foro Boario, dove, proprio in quel periodo, si era concentrato un drappello di monaci bizantini in fuga dalle contesa iconoclasta sorta nella Chiesa d’Oriente.

Ambienti destinati alla distribuzione di viveri, di indumenti e di assistenza ai malati, le diaconie costituiranno i primi nuclei di quelle che poi divennero le future chiese di Santa Maria in Cosmedin, di San Giorgio al Velabro e di San Teodoro, oltre a Santa Maria Antiqua ai Fori e Santa Maria lungo la via Lata (attuale via del Corso). Più tardi, qualche anno prima del 750, sorgeranno, in altre zone della città, le diaconie di San Silvestro, Santa Maria in Adriano, Sant’Eustachio, Santa Maria in Aquiro, i Santi Segio e Bacco, Sant’Adriano, i Santi Cosma e Damiano, Santa Maria in Domnica, Santa Lucia in Selcis e Sant’Agata de Caballis. A queste si aggiungeranno, dopo il 750, San Martino iuxta beatum Petrum, Santa Maria in caput portici, Sant’Angelo in Pescheria, Santi Bonifazio e Alessio, Santa Lucia in Septes Vias, i Santi Nereo e Achilleo, Santi Silvestro e Martino e San Vito. Una rete capillare di luoghi di assistenza destinati ai poveri, che copriva l’intera città e che rende l’idea di quanto la Chiesa avesse a cuore quell’opera di carità.

I poveri, tesoro della Chiesa, e le più antiche diaconie di Roma

Santa Maria in Cosmedin

Non va dimenticato che in quel periodo era ancora forte l’influenza bizantina e che la Chiesa d’Oriente e quella di Roma convivevano, nell’urbe, con edificazione reciproca. Il culto di Cosma e Damiano, i santi medici originari della Cilicia, per esempio, era arrivato a Roma all’inizio del VI secolo, probabilmente attraverso Costantinopoli, da dove veniva anche la venerazione dei martiri Sergio e Bacco e di Adriano, un santo soldato. Il culto dei martiri Quirico e Giulitta proveniva da Tarso, pure nella Cilicia; quello dei Santi Ciro e Giovanni dall’Egitto. Il culto congiunto degli apostoli Filippo e Giacomo, diffuso in tutto l’Oriente, era a quanto pare sconosciuto in Occidente prima che a Roma fosse fondata in loro onore la chiesa dei Santi Apostoli. Infine, il titulus Anastasiae, che una dama di questo nome aveva fondato forse nel IV secolo, ai piedi del Palatino, fu dedicato duecento anni dopo a una santa orientale omonima, molto venerata a Costantinopoli.

Insomma l’Oriente e l’Occidente, in un certo senso, si uniscono, sotto l’ombra di papa Gregorio, nel prendersi cura, in maniera organizzata e razionale, dei poveri di Roma: grano, vino, formaggi, verdure, lardo, carne, olio, pesce, partono, il primo di ogni mese, dalla residenza papale di San Giovanni in Laterano per raggiungere le diaconie sparse nella città; furono istituite cucine mobili per assicurare minestre calde ai poveri e agli infermi, proprio sull’esempio delle comunità cristiane d’Oriente, fin dal IV secolo. E, alla fine del VI, erano sorte diaconie anche a Ravenna, Rimini e Napoli.

Questi centri d’assistenza erano inoltre provvisti di bagni, dal momento che le terme pubbliche non erano più disponibili. Naturalmente la loro attività non era puramente secolare, ma si inquadrava nella concezione cristiana della carità come dovere verso il Signore e verso il prossimo: tuttavia le diaconie, benché gestite dalla Chiesa e dotate sempre di un oratorio, non erano luoghi di culto, ma eminentemente centri di cura per i bisognosi.

 

Santa Maria in Cosmedin, San Giorgio al Velabro

San Teodoro

 

I poveri, tesoro della Chiesa, e le più antiche diaconie di Roma

San Teodoro

Oggi, di alcune delle più antiche diaconie rimangono tracce a Santa Maria in Cosmedin, a San Giorgio al Velabro, a San Teodoro e a Santa Maria in via Lata. In questi edifici di culto la disposizione degli ambienti appare dettata, secondo le testimonianze archeologiche, dalle esigenze pratiche a cui era destinato anticamente l’edificio e dal carattere semi-ecclesiastico dell’istituzione. L’intera zona in cui sorgevano era nata, fin dall’antichità, in connessione alle vie che consentivano il trasporto delle vettovaglie: prossima alle banchine del Tevere situate sotto la pendice dell’Aventino, era ricca di magazzini e di mercati. La zona in questione cominciava dalla Bocca della Verità, proseguiva verso nord col mercato del bestiame (Foro Boario), dove sorgono l’arco di Giano Quadrifronte e la chiesa di San Giorgio al Velabro, e col mercato degli erbaggi (Foro Olitorio), dove fu eretta nell’XI secolo la chiesa di San Nicola in Carcere. Era dunque naturale che le diaconie sorgessero proprio in questa zona, ai margini di quello che era uno dei più popolosi quartieri dell’urbe che, dalla riva sinistra del Tevere, si estendeva fino ai piedi del Campidoglio.

E un tipico esempio di queste prime diaconie è dato proprio da Santa Maria in Cosmedin in piazza della Bocca della Verità: nell’VIII secolo la diaconia fu trasformata in una grande chiesa. Le sue mura includono oggi i resti di due edifici più antichi: il colonnato ad arcate della statio annonae e le pareti laterali di una sala piuttosto ampia, parte della diaconia precedente. Il nome della chiesa e del quartiere, come già sottolineato, suggeriscono un ambiente greco connesso con Costantinopoli – Cosmedin era un quartiere di questa città – : la chiesa e la strada dei Greci, la schola Graeca, essendo schola il termine corrente a Roma per indicare le comunità straniere e i loro insediamenti. L’attuale Via della Greca sta indicare proprio tale antica presenza bizantina in zona. Altri centri seguirono alcuni decenni più tardi: uno di essi, menzionato per la prima volta come chiesa nel 640, si trova sotto San Giorgio al Velabro, sempre al Foro Boario. Un’altra diaconia era sorta dove ora si trova la chiesa di San Teodoro, situata ai piedi della pendice occidentale del Palatino a pochi minuti di cammino da San Giorgio e Santa Maria in Cosmedin: essa fu costruita sopra un granaio romano in rovina. La diaconia occupava evidentemente i locali del granaio, mentre la sala era adibita a oratorio. L’attuale chiesa, rotonda e coperta a cupola, fu eretta da papa Nicolò V nel 1453; ad essa è tuttora addossata l’abside dell’antico oratorio, con un mosaico eseguito attorno al 600.

I poveri, tesoro della Chiesa, e le più antiche diaconie di Roma

Santa Maria in Cosmedin

Allontanandosi dal Foro Boario, in via del Corso, subito dopo Palazzo Doria-Pamphilj, sotto lo splendido portico di Santa Maria in via Lata, sono ancora conservati i locali dell’antica diaconia, costruita anch’essa utilizzando un granaio dell’età imperiale. Dei sei magazzini comunicanti tra loro, uno fu trasformato in oratorio e un altro fu decorato all’inizio del VII secolo con una pittura murale raffigurante i Sette Dormienti di Efeso, santi venerati dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.

Accanto e insieme alle diaconie, si andarono moltiplicando i monasteri, altri luoghi di carità cristiana. Un altro affascinante capitolo della Chiesa al servizio dei più piccoli e dei più poveri della città di Roma, vero e inestinguibile tesoro della Chiesa. Che dimostra, tra l’altro, quanto fecondo era il rapporto tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente nel primo millennio.

 

 

Le foto che accompagnano l’articolo sono di Massimo Quattrucci.

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