4 Giugno 2014

Il caso Moro e gli infiltrati dei servizi nelle brigate rosse

Il caso Moro e gli infiltrati dei servizi nelle brigate rosse
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Difficile dire cose nuove sul caso Moro, la tragedia che ha cambiato l’Italia nel profondo e che resta snodo centrale della storia del nostro Paese, anche recente (è nota l’assidua frequentazione del presidente del consiglio italiano Matteo Renzi con Michael Ledeen, uomo della Nato la cui storia personale è legata anche a quei giorni).  Tante interpretazioni di quell’oscura vicenda, tanti interrogativi, tante spiegazioni o rivelazioni che spesso vanno a intorbidire ancora di più le acque. A dire qualcosa di nuovo è stato Giovanni Galloni, figura di primo piano della democrazia cristiana, in una intervista a una televisione poco nota, Attivo-tv, tempo fa. Nel suo intervento, l’esponente della Dc, ricordando quei giorni, spiega: «Io non posso dimenticare il discorso che ebbi con Moro poche settimane prima del suo rapimento. Discutevamo con Moro delle Br, delle difficoltà di trovare i covi delle Br, e Moro mi disse: “La mia preoccupazione è questa: che io ho per certo la notizia che i servizi segreti sia americani che israeliani hanno degli infiltrati all’interno nelle Br, però non siamo stati avvertiti di questo, perché se fossimo stati avvertiti i covi li avremmo trovati».

Un ricordo postumo, che giustifica così: «Me ne sono ricordato proprio per le difficoltà che nei 55 giorni della prigionia di Moro noi avemmo con i nostri servizi segreti a metterci in contatto con i servizi segreti americani per ritrovare la prigione di Moro, che non fu mai ritrovata». Mentre invece, ragiona ancora Galloni, quanto le Brigate rosse rapirono il generale americano James Lee Dozier (1981) «la prigione fu ritrovata nel giro di quindici giorni».

Possibile che da questi infiltrati all’interno delle Brigate rosse non arrivò alcuna indicazione? A questa domanda, posta dall’intervistatore, Galloni risponde che forse qualche informazione, in effetti, era trapelata. E rammenta come il giornalista Carmine Pecorelli, del cui assassinio «fu accusato ingiustamente Andreotti», doveva aver saputo qualcosa. Così Galloni: «Pecorelli tre giorni prima del rapimento di Moro scrisse una notizia un po’ ambigua sulla sua agenzia, dicendo:  “il 15 di marzo si verificherà un nuovo fatto gravissimo  in Italia in cui saranno implicate personalità di grande rilievo”. Lo disse tre giorni prima […]. In realtà poi sapemmo che la cattura di Moro doveva avvenire il giorno prima [Moro fu rapito il 16 marzo ndr.], quindi aveva imbroccato decisamente tutto». Tanto che, è l’ipotesi di Galloni, il direttore dell’Osservatore politico (Op) sarebbe stato stato ucciso proprio perché, a un certo punto, avrebbe minacciato «di rivelare da dove aveva attinto quelle notizie. E fu fatto fuori scientificamente, in maniera molto adeguata, probabilmente da servizi».

Il mistero che ancora aleggia su quell’oscura vicenda è dovuto anche alla reticenza dei brigatisti. Le loro dichiarazioni, infatti, non sono state «convincenti», secondo quanto riferito a Galloni dai magistrati che in diverse inchieste e gradi di giudizio hanno cercato di far luce sul caso Moro. Ancora Galloni: «Le brigate rosse interrogate oggi ci dicono che hanno già detto tutto […] Non è così. Probabilmente qualche cosa ci hanno taciuto; anche loro hanno voluto coprire certe situazioni, certe realtà. Questo è l’interrogativo che nasce».

Un interrogativo che investe anche i servizi segreti italiani, meglio i servizi«cosiddetti deviati», che poi deviati non furono secondo Galloni. Semplicemente si trattava di funzionari che «in buona fede, ritenevano che, stante la stretta alleanza che avevamo con l’America, su alcune questioni delicate dovevano rispondere prima ai loro colleghi americani della Cia che non al governo italiano».

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