11 Aprile 2014

Quando il Signore afferra e porta in braccio i suoi

Quando il Signore afferra e porta in braccio i suoi
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Il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin è stato invitato a celebrare una messa in occasione degli esercizi spirituali della Fraternità del movimento ecclesiale di Comunione e liberazione. Un nostro amico presente ci ha fatto pervenire una registrazione che, purtroppo, non era perfetta. Così abbiamo deciso di pubblicare solo le parti in cui la trascrizione poteva risultare più certa. Ci pare comunque che il testo scorra e, soprattutto, dia tanti spunti di meditazione e preghiera.

 

 

[…] “Nella corsa per afferrarlo” è il titolo di questi esercizi; immagino che si ispira alla lettera di san Paolo ai Filippesi: “Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo”. Ancora una volta ci troviamo davanti all’iniziativa divina. È come un gioco: Paolo scappava da Gesù e lo perseguitava, ma Gesù l’ha raggiunto, l’ha toccato, afferrato e ora è lui che corre dietro a Gesù per afferrarlo. Dio ci previene sempre: ci ha creati, ci ha redenti, ci parla nel suo Figlio, ci rinnova con la sua grazia.

Non diversamente si esprime la preghiera iniziale della liturgia odierna: “Signore onnipotente e misericordioso, attira verso di te i nostri cuori” […] In questa preghiera, in questa breve invocazione, è accennata la dinamica inconfondibile dell’esistenza cristiana. All’inizio della fede non c’è un’intenzione, un volontarismo, un calcolo, un ragionamento corretto. All’inizio c’è sempre un moto d’attrattiva, qualcosa che attrae i nostri cuori: “Attira, Signore, verso di te i nostri cuori”. E questa parola descrive anche la dinamica propria della vita della Chiesa. Lo ha detto con forza il papa emerito Benedetto XVI: “La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione: come Cristo attira ‘attira tutti a sé'”. Lo ripete continuamente l’attuale successore di Pietro, Papa Francesco […]: “Quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno che dice il profeta Zaccaria: ‘Vogliamo venire con voi’. La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità, di questa carità umile, senza prepotenza, non sufficiente, umile. Adora e serve. E questa testimonianza fa crescere la Chiesa. Ne è testimonianza santa Teresa di Gesù Bambino, che è stata nominata patrona delle missioni perché il suo esempio fa sì che la gente dica ‘Voglio venire con voi'”.

Per don Giussani, di cui voi vi considerate figli nella fede, se il Signore può attirare oggi i cuori dei suoi, vuol dire che Lui è vivo e opera adesso. È questa “L’attrattiva Gesù”che egli avrà raccontato tante volte con le sue parole così suggestive quando narrava gli episodi del Vangelo. Perché alle idee giuste o anche ai ricordi belli delle persone care che ci hanno lasciato uno può essere attaccato con sentimenti nobili di devozione, ma, appunto, si tratta di attaccamento, non di attrattiva. Si può essere umanamente attirati, si può vivere un’esperienza dell’attrazione solo se una persona è viva, respira, si muove. Non siamo noi a metterlo al primo posto col nostro sforzo, con la nostra autosuggestione: è Lui che opera.

Se il Signore attira i nostri cuori, vuol dire che Lui è vivo. E se attira i nostri cuori, vuol dire che ci vuole bene, ci vuole donare la salvezza. È così vivo e ci vuole così bene che, con il tempo, mano a mano che si cresce e si diventa adulti e si comincia a invecchiare ci si può accorgere, si può riconoscere con semplicità che l’attrattiva è in realtà un abbraccio, un essere presi e portati in braccio. Mano a mano che si cresce e si invecchia questo può diventare evidente per noi, com’è diventato evidente per i primi apostoli. Al punto che non sono io che corro verso Gesù, ma è lui che corre incontro a me, che mi guarda, che mi prende, come il padre nella parabola del figliol prodigo. E quando uno sta per cadere è Lui che lo può sostenere. E quando uno è caduto è solo Lui che lo può rialzare. Così diventa sempre più esistenzialmente certo per ognuno di noi quello che diceva san Paolo: “Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia”. Così che il Signore può fare la grazia di farci tornare bambini e di andare in Paradiso, perché l’unica condizione che Lui ha posto per andare in Paradiso è di ritornare bambini: “Se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”.

Ci sono dei segni che dicono che siamo portati in braccio e stiamo procedendo nel giusto cammino. Uno di questi segni è l’umiltà. Quando l’incontro è reale si è resi umili dalla cosa grande che uno ha incontrato: non ci si inorgoglisce. L’essere attirati e l’essere presi dal Signore e portati in braccio, per sua natura, non può degenerare mai in una pretesa di possesso e di predominio; non si è mai padroni della parola, della promessa e della tenerezza di Dio. Anzi si è resi umili quando si sperimenta la misericordia per i nostri peccati […]. E proprio quello è il momento in cui si può diventare buoni, con il cuore in pace, pieno di gratitudine; mansueti, come dice la prima lettura di oggi: con un cuore mansueto […].

Solo per la misericordia del Signore che abbraccia e dimentica i nostri peccati, il cammino cristiano, iniziato magari tanto tempo fa, può essere mano a mano punteggiato di nuovi inizi, da nuove ripartenze. Come spiegava don Giussani: “La continuità con quello che è avvenuto al principio si avvera solo attraverso la grazia di un impatto sempre nuovo e stupito, come la prima volta”. Altrimenti si comincia a “teorizzare l’avvenimento accaduto” […] in luogo di tale stupore, dominano i pensieri che la propria evoluzione culturale rende capaci di organizzare, le critiche che la propria sensibilità formula a quello che si è vissuto e che si vede vivere, l’alternativa che si pretenderebbe imporre…”. Domina ultimamente il peccato, il proprio errore, di cui l’uomo non sa come perdonarsi […].

Così, nella misericordia, Dio manifesta la sua onnipotenza. Il miracolo della carità che la Chiesa sempre riconosce ed esalta nelle opere di misericordia spirituale e corporale, è il miracolo che rende più evidente a tutti la gloria di Dio: il miracolo di vite deragliate che vengono redente, di figli e figlie che sembravano perduti, condannati e vengono guariti dall’abbraccio dell’amore gratuito. Se non c’è questo, se i cuori non vengono rinnovati e ammorbiditi nell’esperienza della misericordia del Signore, succede quanto accadeva a tanti farisei, che viene accennato nel Vangelo di oggi. Se va bene, si diventa militanti intristiti e un po’ rancorosi di idee corrette. Persone che pretendono di essere in regola, con le carte a posto. Nei casi peggiori, per motivi di interesse e di potere, si continua a recitare una parte, a indossare una maschera, la maschera delle nostre presunte sicurezze. E si pretende di dettar legge agli altri. I farisei rigettano Cristo venuto nella carne perché, secondo le loro conoscenze, secondo quello che a loro risulta, il Salvatore non può venire dalla Galilea. Loro già sanno, loro già sanno tutto prima […] per loro tutto si risolve nell’acquisizione di una certa competenza, di una conoscenza, di un metodo corretto, di una terminologia; nel padroneggiare bene, senza errori, il discorso religioso accampano la loro pretesa di dominare gli altri. Sono quelli che, come ha detto papa Francesco, si mettono alla porta della Chiesa e non lasciano entrare gli altri e soprattutto non lasciano uscire Gesù.

Nei nostri giorni, come nei giorni narrati dal Vangelo, davanti all’operare di Gesù si svelano i cuori. Può accadere di sussultare di gratitudine per i miracoli e i segni nuovi che il Signore opera nella Sua Chiesa, oppure si può continuare a coltivare le proprie presunzioni: sono queste le due strade che si aprono ogni giorno davanti a ciascuno di noi. Il Signore ce lo ha detto nel Vangelo: nelle vicende della Chiesa nel mondo, la Parola di Dio rimane viva nel cuore dei semplici e degli umili.

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