24 Marzo 2014

Quella moto Honda che stava a via Fani

Quella moto Honda che stava a via Fani
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Sull’Ansa del 23 marzo Paolo Cucchiarelli ha pubblicata una storia, anzi un pezzo di storia italiana. Si tratta delle dichiarazioni dell’ispettore di polizia Enrico Rossi, il quale ha avuto per le mani una lettera anonima che dava indicazioni sulla strage di via Fani, nella quale fu uccisa la scorta dell’onorevole Aldo Moro e rapito lo statista Dc. La missiva dava indicazioni sul fatto che sulla moto Honda presente durante l’azione ci sarebbero stati due uomini dei servizi, il cui scopo era di tenere al sicuro la zona durante l’agguato. Furono loro a sparare sull’ingegner Marini, testimone oculare dell’agguato, che scampò ai colpi mortali per puro miracolo (dopo aver testimoniato al processo Moro decise di andar via dall’Italia a seguito di minacce). La vicenda narrata all’Ansa getta un fascio di luce sulla storia d’Italia. Riportiamo la notizia Ansa, sottolineando un particolare non secondario della testimonianza dell’ispettore: nell’ambito degli accertamenti chiese l’elenco degli iscritti alla cellula dei servizi segreti italiani denominata Gladio, per intenderci quell’organismo interno ai servizi dipendente direttamente dalla Nato la cui esistenza fu rivelata nel 1990 da Giulio Andreotti (cosa che non gli guadagnò molta popolarità in alcuni ambiti anglosassoni).

La richiesta era motivata dal fatto che, come rivelava la missiva, i due agenti dei servizi della Honda lavoravano alle dipendenze del colonnello Camillo Guglielmi. In altro articolo, sempre dell’Ansa e successivo a quello che riportiamo, Paolo Cucchiarelli ricorda che «quella mattina a pochi passi da via Fani c’era, per sua stessa ammissione, Camillo Guglielmi, indicato alternativamente come addestratore di Gladio o uomo dei servizi segreti, invitato a pranzo alle 9.15 di mattina da un suo collega».

 

Dall’Ansa del 23 marzo (ore 18.29)

Gli ingredienti di un giallo ci sono tutti: la confessione post mortem, l’indagine di un poliziotto, la distruzione delle prove e la magistratura – quella romana – che comunque indaga: fine. Ma non è così se si parla del caso Moro. “Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto”.

 

Enrico Rossi, ispettore di Ps in pensione, racconta all’ANSA la sua inchiesta passeggiando sulle colline di Torino, a due passi da Superga. Spiega con puntiglio e gentilezza sabauda che, secondo colui che inviò la lettera anonima – che si qualificava come uno dei due sulla moto – gli agenti avevano il compito di “proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978”. Tutta l’inchiesta è nata da una lettera anonima inviata a un quotidiano nell’ottobre 2009.

 

Eccola: “Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”.

 

L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio di Torino. “Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”. Il quotidiano all’epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell’antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 in modo casuale. Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo.

 

“Non so bene perché ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta”. “Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo”. Il titolo era: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”.

 

“Nel frattempo – continua Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche ‘incomprensione’ nel mio ufficio. La situazione si ‘congela’ e non si fa nessun altro passo, che io sappia”.


“Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo dopo, una ‘voce amica’ di cui mi fido – dice l’ex poliziotto – m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta ‘incompiuta’”.

Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De Filippo: “Sì, gli assomigliava”. Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché “quella è stata un’occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei morti”.


Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l’ANSA – nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro.

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