Sant'Antonio da Padova e la dolcezza della fede
Tempo di lettura: 2 minutiDon Giacomo Tantardini era molto devoto a sant’Antonio da Padova. Si recava spesso nella Basilica del Santo a pregarlo. Una devozione che ha attraversato la sua vita, conforto e letizia di giorni e di tempi. Che ha voluto condividere con i suoi amici. Oggi, che è la festa del santo, pubblichiamo un brano tratto da una meditazione che don Giacomo tenne in occasione del Natale del 2006. Lo pubblichiamo nella sezione Letture perché quella Come in Cielo, forse più adatta, ospita un articolo che vorremmo tenere fino a fine mese e che a questo, per tanti motivi, rimanda.
[…] E così vi leggo questo brano di sant’Antonio perché è bello. Me l’ha fatto conoscere due o tre anni fa uno di voi, Ezechiele: «Dolce Gesù, cosa vi è di più soave di Te? Il ricordo di te è più dolce di ogni cosa, il tuo nome è felicità, porta vera salvezza. Che altro sei o Gesù se non il nostro vero salvatore? Sii perciò per noi sempre il redentore». E questo è Gesù! Allora Gesù è il paradiso, il paradiso è la cosa più dolce. «E allora sii per noi così». E poi c’è la frase di sant’Antonio che più mi ha stupito: «perché come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza»: ecco, è dolce Gesù e la fede è una dolcezza. Si crede per dolcezza. È dogma di fede: il concilio Vaticano primo l’ha reso dogma di fede. Si crede perché lo Spirito Santo dona suavitates: la suavitas è proprio dolcezza nel riconoscere e nell’aderire. Ma come è bello: «perché ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza». L’incontrare il paradiso è una dolcezza, l’incontrare quel bambino, come quando Maria l’ha partorito e l’ha guardato, è una dolcezza, come quando gli occhi di Giuseppe lo guardavano era una dolcezza! La fede è quello sguardo di Maria e quello sguardo di Giuseppe. Era la loro prima dolcezza: il solo guardarlo era la loro prima dolcezza.
«Come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza, tu ci dia anche la speranza e la carità». La speranza non è in fondo altro che questa dolcezza che non si può possedere, perché questa dolcezza è in speranza. È dolcezza reale, ma è una dolcezza che l’uomo non può trattenere lui, non può possedere lui. E questo bambino ai suoi genitori ha insegnato che non lo potevano possedere quando a dodici anni è rimasto nel Tempio. In quei tre giorni, come dice la Madonna, «tuo padre ed io [che rispetto! «tuo padre ed io»] angosciati ti cercavamo». Cercavano quel bambino, che era il loro bambino eppure non lo potevano possedere. La speranza significa che la salvezza è reale ma è in spe: in spe vuol dire che è in stupore, non si può possedere. Conclude sant’Antonio: «Come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza, tu ci dia anche la speranza e la carità cosicché vivendo e morendo in esse [vivendo e morendo nella fede, nella speranza e nella carità] possiamo alfine giungere a te, con il tuo aiuto e con le preghiere della Madre tua, tu che sei benedetto nei secoli. Amen».
]