7 Dicembre 2021

Corea del Sud - Corea del Nord: la prima guerra infinita

Corea del Sud - Corea del Nord: la prima guerra infinita
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Stretta di mano fra Kim Jong-un e Moon Jae-in al confine tra le due Coree nel 2018

Agli inizi di dicembre la Cina ha comunicato a Seul che sostiene “la spinta per una dichiarazione di fine guerra” tra la Corea del Sud e quella del Nord, che favorirebbe la distensione nella penisola coreana e globale.

Va ricordato che la fine del conflitto coreano (1950 – 53) non si concluse con una pace, ma con un semplice armistizio che ha lasciato tante questioni in sospeso. Da allora, tale sospensione è motivo di tensioni, non solo nella penisola, ma anche a livello globale, essendo Cina, Russia e Stati Uniti i convitati di pietra dell’attrito intercoreano, con Washington usa a incrociar le spade con Pyongyang in un confronto irrisolvibile, dato che una guerra aperta incenerirebbe entrambe le Coree e rischierebbe di scatenare una guerra tra super potenze.

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in spinge da tempo per chiudere il capitolo conflittuale, trovando nel presidente nordcoreano Kim Jong-un un interlocutore interessato e potendo godere, al tempo, anche del pieno appoggio in Trump, che tentò in ogni modo di trovare un’intesa con Kim, con sforzi purtroppo sabotati dai falchi che lo circondavano.

Moon ha provato a rilanciare la questione con la presidenza Biden, che però, pur favorevole a tale sviluppo, deve fare i conti con analoghe resistenze interne. E, però, il messaggio di Pechino segnala che i falchi, benché abbiano vinto, non hanno ancora trionfato: c’è ancora spazio per rilanciare prospettive di pace.

Nel dare la notizia di quanto avvenuto, Responsible Statecraft spiega che il passo del Dragone dovrebbe essere assecondato dall’amministrazione Biden, anche se esistono diverse criticità.

La prima resistenza a tale sviluppo, secondo RS, è di tipo “moralistico”: un accordo potrebbe cioè apparire una sorta di vittoria di Pyongyang, che si vedrebbe premiata nonostante il suo “cattivo comportamento” pregresso. Obiezione, però, dal fiato corto, spiega RS, dal momento che anche Washington ha avuto le sue responsabilità, avendo più volte affossato il dialogo con il Paese reprobo.

C’è poi da chiarire cosa ne sarebbe della presenza militare Usa in Corea del Sud, che al tempo fu legittimata come presidio necessario alla difesa di Seul; una legittimazione che ovviamente decadrebbe in caso di pace.

A quanto pare il ritiro di tale presidio è fuori discussione, almeno stando all’analisi purtroppo condivisibile di RS, anche considerando che la furibonda campagna mediatico-politica che ha investito Biden dopo il ritiro dall’Afghanistan non gli consente, almeno al momento, di ripetersi.

E però, RS spiega che si potrebbe trovare un’altra formula per legittimare tale presenza, nell’ambito di un accordo tra Seul e Washington.

Molto più arduo superare le criticità geopolitiche poste dal problema. Il punto, sottolinea RS, “è che la Corea del Nord e la Cina vengono regolarmente messe insieme come minacce tali da giustificare una politica estera statunitense sempre più militarizzata”.

“Ad esempio, la Global Posture Review del 2021 (1) sottolinea come la minaccia della Corea del Nord e della Cina siano il motivo principale per giustificare un incremento della presenza militare statunitense nella regione. Inoltre, gli intransigenti che siedono al Congresso [sia democratici che repubblicani ndr] rendono difficile perseguire la cooperazione con Pechino su questioni di interesse comune come la Corea del Nord”.

In gioco non ci sono solo interessi geopolitici, ma anche finanziari, in particolare quelli, enormi, dell’apparato militar industriale americano, come ben sintetizza il titoletto che RS dedica alle resistenze americane a tale sviluppo: “Opposizione finanziata dall’industria della difesa”.

Così RS: “Quando è stato annunciato che gli Stati Uniti e la Corea del Sud erano prossimi a un’intesa per redigere il testo di una dichiarazione di fine guerra (un’indiscrezione non confermata da fonti statunitensi), si è registrata una raffica di articoli di studiosi dei think tank statunitensi sulla follia di perseguire la pace con la Corea del Nord”.

Inutile sintetizzare i termini del dibattito che si è scatenato sul punto sia sul web che sui tabloid, dal momento che mentre le ragioni della pace sono evidenti, quelle per proseguire sulla via del confronto duro con Pyongyang sono de tutto fumose e aleatorie, non potendo gli antagonisti della pace dire chiaramente che l’U.S. Army non può permettersi di perdere commesse miliardarie.

E, però, RS fa notare che “che non tutti gli analisti dei think tank tradizionalmente interventisti sostengono idee militaristiche”, da cui qualche spiraglio per una prospettiva distensiva.

Biden, conclude RS, ha mostrato di saper modulare la politica estera americana secondo vari registri, alternando aggressività a diplomazia. Così, “tutti quelli che sostengono la fine definitiva della guerra di Corea, sette decenni dopo il suo inizio, dovrebbero aiutare l’amministrazione Biden a superare questi ostacoli […] attraverso un’analisi equilibrata e l’incoraggiamento”.

La guerra coreana può ben considerarsi una guerra infinita, cioè una situazione di conflittualità permanente che, in quanto tale, convoglia finanziamenti all’esercito Usa e offre a Washington spazi di manovra per la sua influenza globale (non a torto, Adam Dick, sul sito del Ron Paul Institute, definisce le guerre infinite la “guerra per il controllo del mondo“).

Porre fine a questo conflitto è stato arduo in passato, in un tempo caratterizzato dalle guerre infinite è ancora più arduo.

 

(1) Il documento del Dipartimento della Difesa Usa che dettaglia le priorità strategiche dell’esercito americano.

 

 

 

 

 

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