8 Agosto 2022

Gaza: la tregua anticipata

Gaza: la tregua anticipata
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Lavoratori palestinesi entrano in Israele da Gaza.

Fine anticipata degli scontri di Gaza: il  portavoce dell’esercito israeliano Ran Kochav aveva dichiarato che le forze armate avevano previsto una settimana di operazioni militari contro la Jihad islamica, ma domenica sera, dopo tre giorni, è stato dichiarato il cessate il fuoco in accordo con la controparte.

Le vittime degli attacchi israeliani sono state 44, di cui 15 tra bambini e adolescenti, e 4 donne (Ansa). Su Haaretz Amos Harel spiega come si è innescato lo scontro e perché è terminato in anticipo.

Anzitutto spiega che Tel Aviv non si aspettava che la Jihad minacciasse una risposta militare per l’arresto dello sceicco Bassam al-Saadi, membro di spicco del movimento. Ciò perché lo sceicco era stato arrestato già “sei volte in passato” e non immaginavano che “la settima avrebbe scatenato una tempesta”.

“Israele – spiega Arel – è stato sfidato dalla Jihad islamica, le cui minacce di vendetta hanno portato a un blocco delle comunità israeliane ai confini di Gaza” per evitare che fossero colpite.

L’attacco preventivo

“E per sfuggire a questa trappola, Israele ha lanciato una sorta di attacco preventivo: una serie di attacchi contro alti funzionari della Jihad islamica e le sue cellule operative, partendo dal presupposto che ciò non si sarebbe trasformato in un conflitto più ampio”.

Arel non menziona la mediazione egiziana che avrebbe preceduto i raid israeliani e che avrebbe potuto evitarli con un’intesa sottobanco, particolare raccontato da un esponente del movimento islamico, il quale ha spiegato come la Jihad avesse accolto con favore alcune proposte per appianare le divergenze  (vedi Piccolenote).

Ma al di là del particolare, pure importante, resta che, secondo la ricostruzione di Arel, non è vero che la Jihad, quando è stata colpita, aveva messo a punto attacchi, l’attacco era preventivo, una sfumatura che ha la sua importanza,

Comunque, l’idea di un’operazione limitata è stata rispettata e il conflitto non ha debordato, soprattutto perché, come speravano i generali israeliani, Hamas, molto più potente della Jihad, non è entrata in campo.

C’era un accordo sottotraccia evidentemente; ma perché reggesse la guerra doveva finire in fretta: come scrive Harel, Hamas, non poteva conservare la sua posizione se le operazioni militari fossero proseguite.

Un altro fattore importante che ha influito sulla decisione di chiudere in fretta le ostilità, aggiunge Harel, è stato il fatto che l’opinione pubblica occidentale era distratta dalla guerra ucraina e dalle esercitazioni cinesi a Taiwan.

Tale distrazione, però, non sarebbe durata a lungo e le immagini dei morti di Gaza avrebbero iniziato a venire a galla anche nelle prime edizioni dei media, innescando la consueta riprovazione dell’opinione pubblica internazionale (ma non dei governi), cosa che Tel Aviv voleva evitare.

Nei raid sono stati uccisi tre leader della Jihad. Tel Aviv ha così dimostrato di saper colpire in maniera capillare, a riprova della sua geometrica potenza contro l’esercito di straccioni cui si contrappone. E il suo governo ha potuto chiudere in anticipo le operazioni senza tema di essere attaccato dai suoi nemici interni, potendo dichiarare di aver conseguito un successo inequivocabile.

Gaza: la neutralità di Hamas

Il fattore determinante di tale risultato è stato, appunto, quello di aver guadagnato la neutralità di Hamas, Harel lo spiega come un altro successo del governo israeliano, che ha allargato un po’ le sbarre della prigione a cielo aperto che è Gaza (1), consentendo cioè ai prigionieri della Striscia di andare a lavorare in Israele e accordandogli altri benefici, seppur minimali, come segno di buona volontà del nuovo corso israeliano (che sembra destinato a finire presto, con il trionfo di Netanyahu alle elezioni di novembre).

Hamas avrebbe potuto essere accusato di tradimento dai suoi antagonisti locali, ma Harel, a ragione, spiega che aver consentito alla Jihad di brandire la sua vendetta e non essere intervenuta per stroncare sul nascere, come poteva, tale velleità, gli ha evitato accuse di tal fatta.

Hamas deve aver reputato esagerata la reazione della Jihad e ha agito di conseguenza, resistendo alle sirene che volevano coinvolgerla nella pugna.

Peraltro, potrebbe aver colto l’occasione per rafforzare la sua presa sulla Striscia, indebolendo la controparte, dal momento che esce rafforzata da questo conflitto, avendo assurto al ruolo di antagonista e interlocutore privilegiato del governo israeliano per Gaza, relegando gli altri movimenti della Striscia a comprimari (il cessate il fuoco si deve anche alla sua attività diplomatica).

Resta il conto delle vittime cosiddette collaterali, che tanto collaterali non sono, il cui sangue va ad aggiungersi al sangue versato nelle guerre precedenti. Un fiume di sangue che sembra inarrestabile e senza fine (in questo crogiolo, d’altronde, è nata l’idea delle guerre senza fine, che accomuna la destra israeliana a quella statunitense, che tanto influenza repubblicani e democratici).

Infine, concludiamo come abbiamo fatto per la precedente nota, registrando che, chiudendo le operazioni militari, la finestra di opportunità per firmare un accordo sul nucleare iraniano resta aperta (le bombe, avevamo scritto, rischiavano di chiuderla).

La speranza di un esito positivo dei colloqui in corso a Vienna non è del tutto malriposta. Timesofisrael comunica, addirittura, che i più importanti membri delle squadre negoziali sono “ottimisti” sul fatto che “l’accordo con l’Iran sarà raggiunto presto”. Vedremo.

(1) Sulla tragica situazione di Gaza, rimandiamo alla lettura dell’articolo di Yaser Khatib su Haaretz dal titolo: “Gaza è sotto assedio da 15 anni. Non può andare avanti così”.