18 Ottobre 2018

La guerra di religione ucraina

La guerra di religione ucraina
Tempo di lettura: 3 minuti

La Chiesa Ortodossa russa rompe con Costantinopoli. È scisma, come non se ne vedeva da tempo. Casus belli la Chiesa Ortodossa ucraina.

La terza Roma ha perso

Una controversia iniziata dopo la rivolta di piazza Maidan. Dapprima era stato un piccolo scisma: l’arcivescovo Makariy Maletich aveva infatti dato vita a un movimento scismatico, fondando la cosiddetta Chiesa ortodossa autocefala ucraina.

Un’iniziativa militar-folcloristica subito condannata dal Patriarcato di Mosca, della quale è “figlia” la Chiesa Ortodossa ucraina, seguita, però, da un rivolgimento più significativo, quello del Metropolita di Kiev, la sede Ortodossa più importante del Paese.

Dopo diverse fibrillazioni, il Metropolita ha rotto con Mosca, attirandosi l’anatema e il marchio di scismatico. Da qui la richiesta di aiuto al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, primus inter pares dell’ecumene ortodossa.

Alcuni giorni fa, il Patriarcato di Costantinopoli ha tolto la scomunica ai presuli ucraini e tolto la Chiesa ortodossa ucraina dalla filiazione moscovita per annetterla a sé. Infine, ha accolto la sua richiesta di autocefalia.

Una richiesta, quest’ultima, appoggiata dal Parlamento ucraino e dal Presidente Petro Poroshenko, ansioso di presentarsi alle elezioni del prossimo marzo con una vittoria sull’odiato nemico russo.

E vittoria è stata, tanto che, dopo la decisione di Costantinopoli, ha dichiarato: “Questa è la caduta della Terza Roma” (ovvero Mosca).

Ucraina: dall’uniatismo alla secessione americana

Una Babele, foriera di conflitti tra la Chiesa Ortodossa ucraina che guarda Mosca e quella in comunione con Costantinopoli.

Conflitti che vedranno anche battaglie sul campo, dal momento che ci sono in ballo fedeli, luoghi sacri e beni ecclesiastici.

Come tutte le guerre di religione, c’è in ballo la politica. “Gli Stati Uniti sostengono con forza la libertà religiosa, […] rispettano la richiesta dei leader e dei fedeli religiosi ortodossi dell’Ucraina di perseguire l’autocefalia secondo le loro condizioni. Così Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Heather Nauert.

Non solo gli Stati Uniti, in questo sviluppo potrebbe esserci lo zampino di Erdogan, almeno secondo il sedicente leader tataro Mustafa Dzhemilev, le cui dichiarazioni sono state riportare sul Religious information service of  Ucraine.

Il presidente Poroshenko avrebbe affrontato il problema nel suo incontro con Erdogan dell’aprile scorso. E questi avrebbe detto che “avrebbe fatto tutto il possibile” per far accettare la richiesta dal Patriarcato di Costantinopoli.

Erdogan si sarebbe mosso per fare un favore agli Usa in cambio di un attutimento della pressione che sta esercitando su Ankara a seguito del caso Brunson, il pastore protestante accusato di aver partecipato al fallito golpe del 2016.

Erdogan ha buoni rapporti con Putin, che ha rapporti solidi col Patriarcato di Mosca, ma coltiva legami altrettanto forti con Kiev dai tempi di Maidan, da quando la Turchia inviava bande di jihadisti a far guerra nel Donbass.

Al di là della veridicità della tesi, resta l’incrociarsi di interessi politici e pretese religiose, che ha provocato una scossa tellurica che rischia di diventare sciame.

Brutta storia, che vede la Chiesa cattolica spettatrice partecipe. Peraltro Roma vede ripetersi, sotto altre forme, la tragedia dell’uniatismo, quando, durante il Pontificato di Wojtyla, si inimicò il Patriarcato di Mosca creando una gerarchia cattolica ucraina contrapposta a quella ortodossa.

Storia passata. Papa Francesco ha intessuto rapporti fraterni con i Patriarchi di Mosca e Costantinopoli, che andranno giocoforza a complicarsi.

Già dilaniata da tensioni ad alto rischio, tra spinte atlantiste e storici legami con Mosca, la guerra di religione pone altre criticità in Ucraina.

Mentre la crisi tra il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli pone criticità al nuovo legame Putin-Erdogan, che gli Stati Uniti stanno cercando in tutti i modi di rompere.

 

Mondo
4 Dicembre 2024
Corea del Sud: il golpe fallito