4 Luglio 2014

I profitti dei "caronti" di migranti

I profitti dei "caronti" di migranti
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Quanto costa un viaggio della speranza, ovvero della disperazione, nel quale si avventurano migliaia di migranti a settimana? A dettagliarlo è un articolo di Nello Scavo sull’Avvenire del 2 luglio: «Il biglietto può arrivare a 2500 euro, ma sono i costi accessori a mostrare tutta la spietata logica dei boss dei barconi». Cento euro costa «una porzione di sardine in scatola e un paio di bottiglie d’acqua»: spese inevitabili perché è «vietato portarsi dietro acqua o cibo». Duecento euro costa invece «un plaid per avvolgere i bambini». Chi vuole viaggiare sul ponte, luogo meno insalubre delle stive affollate e più adatto alla fuga in caso di disgrazia, deve pagare un extra che si aggira tra i 200 e i 300 dollari. Altri 200 dollari per «un giubbotto salvagente». «Niente sconti per i bambini. Anzi. Se viaggiano da soli pagano fino a 1500 dollari in più», data la “responsabilità” che si assumono i traghettatori.

Non c’è il bagno sui barconi, che viene smantellato per fare «altro posto e aumentare i profitti»: ci si deve arrangiare. Cosa vietata alle donne incinte, dal momento che «in alcune culture africane l’urina delle gestanti è considerata veleno o, peggio, una pozione» che attira la sfortuna. Così per loro c’è l’obbligo di servirsi di un rozzo catetere, costo «150 dollari». Infine le telefonate che si rendessero necessarie: 300 dollari «per meno di cinque minuti di conversazione con il satellitare», mentre mille dollari è la cifra che devono sborsare quanti non hanno appoggi e vogliono «conoscere il numero di telefono da contattare per essere trasportati fino al Nord Europa». Conclude Scavo: «Perciò con una media di tremila euro a persona un barcone con 300 sventurati frutta quasi un milione. Pagamento anticipato. Che si arrivi o meno a destinazione non ha importanza».

(titolo dell’articolo: 100 euro per bere. 200 per un plaid).

 

Nota a margine. Difficilmente abbiamo letto articoli così interessanti, da qui l’ampia sintesi. Va notato che questo denaro va solo in parte ai traghettatori, per lo più invece è appannaggio delle organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani. In genere queste sono legate al terrorismo internazionale: i miliziani jihadisti costano, come anche il loro rifornimento e le armi. Traffici, quindi, che si alimentano a vicenda, dal momento che la destabilizzazione di un Paese ad opera dell’integralismo islamico (che poi islamico non è) produce profughi. Così il contrasto alla tratta di esseri umani potrebbe anche essere un modo per arginare il terrorismo internazionale. Il fatto che si faccia poco o nulla per contrastarla suscita domande.

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