Il genocidio di Gaza e la banalità del male

“L’opinione pubblica israeliana assiste all’espulsione di donne, bambini e anziani e tace”, scrive Ahmad Tibi su Haaretz. “Assiste alla pulizia etnica e non dice nulla. Assiste alla distruzione totale della Striscia di Gaza e non parla. Sa che 18.000 bambini sono stati uccisi a Gaza e rimane in silenzio. Sa che giornalisti, medici, soccorritori, educatori e migliaia di civili sono sepolti sotto le macerie e non dice nulla. E quando case e grattacieli vengono bombardati, non dice nulla, spesso anzi vogliono di più, a volte addirittura sorridono sadicamente”.
“Le atrocità comsumate presso le comunità israeliane al confine con Gaza, durante le quali sono stati assassinati 30 bambini e centinaia di civili, hanno giustamente scioccato l’opinione pubblica israeliana. Ma ciò che il governo sta perpetrando a Gaza, con il sostegno della maggior parte dell’opinione pubblica, non è ‘autodifesa’. Non è una reazione estemporanea, ma l’attuazione di un vecchio piano riposto, in attesa, in qualche cassetto: un piano di trasferimento e annientamento che emerge dalle profondità del discorso politico-difensivo di Israele. Il governo israeliano è diventato un governo apertamente kahanista”.
“Non è lontano il giorno in cui i ministri del Likud deporranno una corona di fiori sulla tomba di Meir Kahane. Quello che un tempo era considerato un abominevole estremismo e dichiarato fuorilegge è ora il fulcro del consenso al potere”.
“Tutti quelli che hanno ripetuto l’affermazione che ‘non ci sono persone estranee a Gaza’ hanno giustificato l’uccisione di bambini e innocenti. Queste parole non sono state un lapsus, ma un’affermazione nazista. Non appena si elimina la distinzione tra combattente e civile, nel momento in cui si afferma che tutti i palestinesi sono obiettivi legittimi, si approva l’uccisione di milioni di persone”.
“[…] Chiunque assista alle atrocità che l’esercito israeliano commette giorno e notte nella Striscia di Gaza – bambini affamati, donne con arti mancanti, interi quartieri polverizzati – e continui a ripetere il trito e ridicolo mantra ‘sull’esercito più morale del mondo’, è complice a tutti gli effetti di questi crimini”.
“[…] Anche negare è una forma di complicità, così come reprimere la verità, ignorarla o rimanere in silenzio. Chi ha visto la foto di un bambino palestinese affamato e si è affrettato a negarla, sostenendo di era ammalato già prima [dell’attacco], o che quella foto facesse parte di qualche campagna, è anch’egli pienamente complice di questo crimine”.
“[…] Non meno grave è il doppio standard tanto utilizzato. Chiunque abbia definito ‘olocausto’ l’uccisione di centinaia di civili in Israele, considerando quindi tutti i palestinesi come nazisti [accostamento peraltro reiterato ndr], deve spiegare perché è sconvolto dall’uso di questi termini per descrivere ciò che sta accadendo a Gaza negli ultimi due anni: uccisioni e omicidi su larga scala, fame ed espulsioni, pulizia etnica, sfollamento e sterminio”.
“Se l’uso di questi termini è consentito quando si parla dell’altro ma è proibito quando si descrivono le azioni di Israele, ciò equivale a un’ipocrisia morale e a una manipolazione emotiva volta a legittimare l’orrore”.
[…] La storia non perdonerà. Ricorderà che la società ebraica israeliana, nonostante i suoi traumi storici, o forse proprio a causa di essi, si è mobilitata in massa [contro i palestinesi] e ha chiuso un occhio quando un intero popolo veniva sterminato. La storia ricorderà la distruzione, la rovina, la pulizia etnica e l’uccisione di bambini. Un giorno metterà uno specchio davanti a quanti gridavano ‘l’esercito più morale del mondo’ mentre distruggevano Gaza”.
“Come scrisse Hannah Arendt, ‘la triste verità è che la maggior parte del male viene commesso da persone che non decidono di essere buone o cattive; il male nasce dall’incapacità di pensare… dalla banalità del male”. Questo è il nocciolo della questione. È il silenzio della maggioranza, il momento in cui le persone si abituano al male e smettono di pensarci, di opporsi o di rifiutarsi di farne parte”.
Nella nota, ovviamente, anche il cenno alla minoranza che, in Israele, si oppone a tale orrore, e accenna a come “la storia ricorderà questa minoranza e il silenzio della maggioranza”.
Sempre su Haaretz, un articolo di Gideon Levy sulla partecipazione di Israele all’Eurovision, che alcuni Paesi stanno giustamente contestando:
“Una nazione che sta perpetrando un genocidio non può continuare a cantare. E un mondo che vede una nazione perpetrare un genocidio non può cantare con essa. Né può accettare il fatto che questa nazione voglia continuare a cantare come se nulla stia accadendo. Il fatto che Israele possa anche solo immaginare di partecipare a una gara canora, con tutti i suoi lustrini ed effetti speciali, nel pieno del genocidio nella Striscia di Gaza, mentre i suoi soldati uccidono e distruggono senza pietà, dimostra che ha perso la bussola”.
Se abbiamo ripreso questo brano di Levy è per il cenno seguente: “Se avesse chinato il capo per la vergogna e si fosse ritirato dall’Eurovision Song Contest, avrebbe ottenuto molto più onore di quanto non abbia ottenuto lanciando accuse di antisemitismo al mondo intero, come se fosse il mondo a commettere i massacri a Gaza e non le Forze di difesa israeliane”. Ci sembra che quest’ultima considerazione sia omnicomprensiva, sia cioè applicabile a tutte le controversie innescate dalle giuste reprimende che Israele ha attirato su di sé durante il genocidio, alle quali ha sempre reagito accusando i critici di antisemitismo.
“Meritiamo una punizione implacabile – conclude Levy – e ancor più da quando è iniziata la follia assoluta [dell’invasione] di Gaza City. Questo non è né odio per Israele né masochismo; è semplicemente un chiaro esempio di senso di giustizia. Con le mani sporche di sangue, Israele non dovrebbe nemmeno tentare di entrare in club che accetti criminali come lui come membri. E ballare alla Stadthalle di Vienna a maggio sul sangue di una Gaza distrutta e ripulita etnicamente? È una vergogna per l’Europa che solo cinque paesi si siano finora opposti alla partecipazione di Israele”.
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