12 Agosto 2020

Usa: la scelta della Harris e la vittoria della Omar

Usa: la scelta della Harris e la vittoria della Omar
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Joe Biden ha scelto Kamala Harris, donna nera ed ex procuratore della California, come sua vicepresidente, perdendo così il braccio di ferro ingaggiato con l’establishement del suo partito, che spingeva in tale direzione.

Se Biden fosse stato convinto della scelta, l’avrebbe fatta prima, ponendo fine alle pressioni cui era sottoposto. Averla ritardata, e così tanto, indica che ha tentato altro.

Alla fine ha ceduto e l’establishement ha il “suo” vicepresidente, che avrà un peso notevole nell’eventuale presidenza Biden, data l’anzianità di quest’ultimo, che potrebbe anche impedirgli di finire il mandato cedendo lo scettro alla Harris.

Ma al di là degli eventuali incidenti di percorso di un’eventuale presidenza Biden, di certo la Harris, grazie alla sua vivacità, si ritaglierà un suo spazio, erodendo i poteri del presidente, e sarà quasi sicuramente lei la candidata del partito democratico nel 2024. Da qui l’importanza della scelta.

Il ripescaggio della Harris

Così la candidata rigettata dal voto popolare, dato che alle primarie del partito ha fatto flop, è stata innalzata sugli scudi, classico gioco di specchi dell’establishement di uno Stato che pretende essere modello di democrazia nel mondo.

Una vittoria non solo dell’establishement del partito democratico, ma anche di quello repubblicano, che ha insistito sul fatto che Trump avrebbe vinto facilmente se il suo avversario avesse scelto una figura vicina a Sanders, spaventando l’elettorato americano con lo spauracchio dei “radicali”.

In realtà queste presidenziali si sono trasformate in un referendum su Trump e una simile scelta non avrebbe avuto ripercussioni. Anzi, avrebbe forse dato più slancio alla corsa di Biden, che invece, scegliendo la Harris, ha suscitato perplessità nel variegato ambito dei radicali.

Già perché la Harris alle primarie è stata usata come un maglio non solo per affondare Biden, al quale ha dato del razzista, ma soprattutto Sanders, il vero spauracchio dell’establishement (oltre Trump), al quale ha tolto voti decisivi per la nomination.

“La senatrice della California Kamala Harris sembra essere la candidata liberal preferita dai miliardari, 46 dei quali, ad oggi, hanno indirizzato donazioni alla sua campagna nel 2019, secondo Forbes“. Così Businessinsider durante le primarie dem.

A giocare in favore della Harris anche la spinta delle rivolte contro il razzismo che hanno imposto una donna nera, togliendo dal tavolo l’opzione Elizabeth Warren.

Ciò, nonostante il fatto che sulla questione razziale la Harris abbia avuto qualche problema: in un dibattito delle primarie Tulsi Gabbard le aveva chiesto di scusarsi per aver usato il pugno di ferro contro gli afroamericani durante il suo servizio nella magistratura. Attacco devastante che contribuì al suo ritiro.

Ma questo è il passato e non conta più, il presente dice che il ticket democratico, dopo tanta sospensione, si è formato e la sfida per le presidenziali Usa è entrata in una nuova fase.

Le elezioni Usa e la conflittualità mediorientale

Contemporaneamente all’annuncio della Harris, un’altra notizia, meno rilevante, ma significativa: Ilhan Omar ha vinto la sfida delle primarie democratiche contro lo sfidante Antone Melton-Meaux’s.

La prima islamica eletta al Congresso degli Stati Uniti potrebbe così essere rieletta a novembre, quando, insieme al presidente, gli americani saranno chiamati a rinnovare la Camera e gran parte del Senato.

Nel piccolo, la contesa aveva assunto un valore simbolico, dato che alcuni ambiti ebraici avevano dato vita all’America pro-Israele, organismo nato per sostenere finanziariamente il suo avversario. Ne dava notizia il Timesofisrael, ricordando alcuni dissidi tra la Omar e diversi ambiti ebraici americani.

Così il Timesofisrael: “Le sovvenzioni dell’America pro-Israele alla campagna elettorale [di Melton-Meaux’s, ndr.] giungono mentre alcuni gruppi pro-Israele stanno  cercando di rimuovere la matricola del Congresso dal suo incarico”.

Insomma, in questo collegio elettorale si era ricreata, in vitro, la conflittualità mediorientale, anche se il sostegno dell’ebreo Sanders alla Omar deve indurre a non semplificare ciò che è complesso.

Proprio Sanders ha salutato con entusiasmo la vittoria della Omar, che rafforza le chanches del suo ambito di avere maggior peso nel prossimo Congresso Usa.

Ciò spiega anche il suo plauso della scelta della Harris come vicepresidente: se vince Biden il suo ambito potrebbe sperare di avere un’influenza profonda nella politica americana.

Ma perché ciò accada, a novembre i suoi candidati dovranno battere i loro antagonisti repubblicani nei singoli collegi. E un conto è vincere le primarie del partito, altro sarà vincere tali sfide, dato che è probabile che l’establishement dei due partiti farà blocco per non farli passare.

Ma questo riguarda il futuro, oggi si registra il plauso generale dei media mainstream per la vicepresidenza, ancora virtuale, della Harris. Hanno vinto anche loro, dimostrando di avere ancora un grande peso nella politica americana.

 

 

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