28 Settembre 2021

La fine ingloriosa dell'era Merkel, l'ovvia vittoria di Scholz

La fine ingloriosa dell'era Merkel, l'ovvia vittoria di Scholz
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L’era della Merkel si chiude con la vittoria del socialdemocratico Olaf Scholz, dopo sedici anni nei quali la Cancelliera ha guidato il suo Paese con l’obiettivo di portare a compimento la Grande Germania, prospettiva iniziata con la riunificazione tedesca e proseguita con l’aggiogamento di parte dell’Europa dell’Est, distaccatasi dall’influenza russa, e del resto del continente.

La Grande Germania della Cancelliera

Un imperialismo che ha visto il favore dei circoli atlantisti, che da sempre hanno osteggiato l’integrazione reale dell’Europa e che hanno visto nella Grande Germania un grimaldello, insieme all’allargamento a Est dell’Unione, per far collassare tale prospettiva.

Corollario della ferrea presa teutonica sull’Europa, l’erosione del modello di sviluppo del Vecchio continente basato sulla prosperità diffusa, incenerito dal rigore e dell’austerità che hanno impoverito le masse ed eroso anche la democrazia, con il potere, e tutto il potere, consegnato a ristretti circoli elitari (con il teatro politico, sempre più vacuo nel suo procedere).

Tale il cancellierato della Merkel, che comunque ha proceduto per stop and go, perseguendo tale prospettiva imperiale con rigore ferreo, ma anche pragmatismo, cosa che ha portato la Germania a derogare, nella sostanza anche se non nella forma, dai dogmi atlantisti, trovando compromessi con la Russia e intessendo proficui rapporti con la Cina.

Un cancellierato, quello della Merkel, che nell’ultima fase ha conosciuto una impronta nuova, allentando il rigore nei riguardi dei sudditi continentali colpiti dal flagello della pandemia e portando a compimento il North Stream 2 con la Russia, sfidando l’ira di Washington. Deroga, quest’ultima, favorita dall’approssimarsi della scadenza del mandato, che ha reso la Cancelliera più libera.

Gli succederà Scholz, che ha dichiarato di voler porre fine alla Grosse Koalition che ha caratterizzato il floruit dell’era Merkel, per dar vita a un governo con verdi e liberali (sempre che riesca).

In tal modo la Germania si allinea con i dogmi della nuova era, votata al cosiddetto progressismo, una sedicente sinistra che ha abbandonato la difesa degli interessi dei lavoratori e delle classi più povere per rendersi quindi ancillare alla Grande Finanza, occultando tale tradimento con l’asserita lotta contro le discriminazioni, con declinazioni sempre più varie e aggressive (esito della vittoria del ’68).

Il mondo, almeno l’Occidente, con la vittoria di Biden, va in questa direzione, e la Germania segue. A favorire tale svolta, il suicidio, forse non del tutto involontario, della Merkel, che ha scelto come delfino… un tonno, Armin Laschet, votato alla sicura sconfitta (ne avevamo scritto nella nota del 24 luglio scorso).

L’Unione europea di Scholz 

Per quanto riguarda il rapporto con l’Europa, è interessante quanto dichiarato da Wolfgang Schmidt, il più stretto collaboratore di Scholz, ad Axios. Riportiamo di seguito.

La sola Germania “non farà la differenza” in un mondo dominato da Stati Uniti, Cina e altre potenze emergenti. Ecco perché Scholz crede che “la più grande e importante questione nazionale di interesse della Germania sia l’Unione Europea […], perché “solo con il blocco di 470 milioni di persone, quanti siamo, rappresenta e porta un po’ di peso sul tavolo”.

Dunque, secondo Schmidt, la risposta ai problemi della Germania sta in una nuova “sovranità europea”. Simbolico, in tal senso, che il primo viaggio di Sholz sarà a Parigi, dato che anche Macron è favorevole a tale prospettiva (ma da una posizione molto più debole del suo omologo tedesco, come dimostra, in via simbolica, l’uovo che gli è stato lanciato contro ieri).

Da questo punto di vista, l’importanza nuova che Washington ascrive al Pacifico, che relega in secondo piano il Vecchio Continente, potrebbe favorire questo processo di autonomia vigilata del Vecchio Continente (Biden sembra proseguire anche su questo piano, come su altri, quanto iniziato con l’era Trump, nonostante i toni e modi più soft).

Ma ovviamente, non è detto che l’America accetti con quiescenza che le sue colonie assurgano a un ruolo geopolitico rilevante grazie a una maggiore integrazione e a una riacquisita sovranità, pur se limitata. Da questo punto di vista, potrebbe invece tornare a guardare con favore quei processi di disgregazione che hanno frenato per decenni l’Unione.

Per quanto riguarda, invece, il rapporto con Cina e Russia, secondo Axios, Berlino continuerà a fare affari con Pechino (ma l’acuirsi del conflitto Usa-Cia pone criticità alla cosa), mentre il rapporto con Mosca sarà tutto da scoprire: se da una parte tante forze tedesche spingono per una distensione, altre, anche di governo, urgono in senso opposto. Ed è da vedere il peso che avrà nei rapporti con Cina e Russia la leader dei Verdi Annalena Baerbock, che accompagna il fervore ambientalista con rigidità degne dei neocon.

Ma al di là della geopolitica, e tornando alla politica, resta un nodo cruciale nella prospettiva di una più forte integrazione europea incarnata da Scholz (sempre che riesca), se cioè essa possa portare i cittadini degli Stati membri fuori dalla deriva elitaria in cui è sprofondata in questi anni.

A oggi è davvero arduo immaginare una simile rivoluzione, l’unica che darebbe nuove ali all’Europa, ripristinandone il ruolo di faro di civiltà, che servirebbe, peraltro, a riportare un po’ di equilibrio in questo mondo impazzito. Vedremo.

 

 

 

 

 

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