11 Maggio 2023

Le bombe su Gaza: il durissimo editoriale di Haaretz

palestinesi piangono per Mohammed Abu Taima, ucciso mercoledì in un attacco aereo israeliano a Khan Younis, nella Striscia di Gaza. [Haaretz]. Le bombe su Gaza: il durissimo editoriale di Haaretz
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Mentre prosegue lo scambio di colpi tra Tel Aviv e la Jihad islamica, morti a Gaza e paura in Israele, si hanno notizie contrastanti su un negoziato in corso. Le milizie islamiche hanno avanzato tre condizioni per la tregua: la fine degli omicidi mirati a Gaza e Cisgiordania;  la restituzione del corpo di Khader Adnan, la cui morte in un carcere israeliano ha scatenato gli scontri; e l’annullamento della Marcia delle bandiere promossa dall’ultra-destra israeliana in occasione del Jerusalem Day.

In un’intervista a Canale 13, Tzachi Hanegbi, Consigliere per la Sicurezza nazionale israeliano, ha dichiarato che Tel Aviv “non ha alcun interesse a continuare lo scontro” perché “le possibilità di ottenere una deterrenza a lungo termine sono basse”. Operazione, cioè, inutile. Nonostante ciò, però, concorda con le autorità israeliane sul fatto che debba proseguire.

Gli Stati Uniti premono per il cessate il fuoco, anche perché in una guerra a Gaza si troverebbero a fianco di Israele, con danno di immagine (un problema per la guerra ucraina nella quale impersonano i “buoni”).

Haaretz e i “danni collaterali” delle bombe

Durissimo l’editoriale di Haaretz, che inizia così: “Nel primo attacco dell’offensiva contro Gaza denominata Operazione Shield and Arrow […] sono state uccise 13 persone, tra cui 10 civili, tre dei quali bambini. Ma senza batter ciglio, si è dichiarato che si trattava di un ‘danno collaterale’ dovuto alla necessità di eliminare le tre figure di spicco della Jihad islamica. In realtà, è vero il contrario. I tre comandanti devono essere considerati il ‘risultato collaterale’ dell’uccisione mirata dei civili”.

E si chiede se sia vero che i generali israeliani hanno deciso “con giudizio”, dal momento che hanno portato l’attacco “in una circostanza in cui era molto probabile che intorno agli obiettivi ci fossero civili, bambini compresi”.

La seconda domanda è rivolta al governo, a cui chiede se abbia vagliato con cura le informazioni ricevute dall’esercito prima di dare il via libera. E chiede: “hanno calcolato il prezzo omicida dell’azione – uccidere innocenti, compresi i bambini – e sono giunti alla contorta conclusione che il ‘prezzo’ era giusto? Se la risposta è sì, allora questo non è solo un crimine morale, ma un crimine di guerra”.

Il terzo quesito è rivolto al “procuratore generale Gali Baharav-Miara, che ha autorizzato l’operazione senza convocare il gabinetto di sicurezza. Si è accertato se c’era un pericolo per la vita dei civili? E se così è, ha ritenuto opportuno approvare l’operazione nonostante il suo prezzo scellerato?”

Un leggero urto alle ali…

La quarta domanda è rivolta ai piloti che hanno sganciato le bombe, e si chiede se hanno valutato con attenzione il fatto che “bombardare case piuttosto che siti militari causa l’uccisione di civili”.

Questione ancor più controversa, rincara il giornale, perché si tratta degli stessi piloti che hanno protestato contro la riforma giudiziaria liberticida di Netanyahu (un golpe per gli oppositori). E si chiede: “Sono sereni quando uccidono civili innocenti, bambini compresi? Trovano accettabile eseguire un ordine “sul quale sventola una bandiera nera?”

Quindi Haaretz ricorda l’intervista di “Dan Halutz, ex comandante dell’aeronautica e poi capo di Stato maggiore (e ora leader della protesta anti-golpe)” che, parlando dei bombardamenti su Gaza del 2022, aveva detto: “Quando sgancio una bomba sento solo un leggero urto alle ali”.

Questa la conclusione del giornale israeliano: “La sfacciata arroganza di Halutz nei confronti dell’omicidio all’ingrosso – per il quale è stato giustamente fatto segno di critiche feroci – è diventata routine. Non possiamo accettare che i crimini di guerra e la morte di innocenti diventino parte della routine israeliana. Una leadership con questa visione del mondo non può essere legittima in una democrazia”.