28 Maggio 2021

L'incredibile scoperta dell'intelligence Usa sul Covid-19

L'incredibile scoperta dell'intelligence Usa sul Covid-19
Tempo di lettura: 4 minuti

“Mamma ho perso il computer”. Questo il titolo che volevamo mettere a questa nota, che iniziamo con una notizia strabiliante: la Comunità dell’intelligence Usa ha riferito alla Casa Bianca di aver trovato nei propri computer una quantità di elementi sull’origine del Covid-19 non ancora esaminati (The Hill).

Strabiliante: dopo un anno di indagini sull’evento che ha devastato il mondo, l’intelligence Usa scopre per caso che nei propri cassetti sono riposte prove forse decisive su quanto avvenuto.

E dire che tale “intelligenza” per tutto il tempo della pandemia è stata guidata da un’amministrazione che ha fatto di tutto per accreditare l’idea che il virus fosse stato prodotto nel biolaboratorio di Wuhan…

Tale scoperta avveniva, coincidenza, proprio mentre la Casa Bianca chiudeva le indagini avviate dalla pregressa amministrazione sul tema (Cnn). Messo di fronte a questo incredibile scoperta, il presidente americano ha dovuto ovviamente riaprire l’inchiesta, altrimenti i suoi avversari l’avrebbero accusato di colludere con Pechino in danno agli Stati Uniti.

L’Intelligence e gli scienziati

Così Biden ha dato all’intelligence Usa 90 giorni per trovare come è nato il virus. E laddove ha fallito la comunità degli scienziati del mondo, riuscirà la Cia. Evidentemente, nonostante i tanti premi Nobel distribuiti ogni anno, la comunità scientifica globale ha una preparazione deprimente.

E dire che sono anche ferrati in bioingegneria, cioè sanno come si fabbricano certe cose. Lo sanno bene, solo per fare un esempio, anche i ricercatori della Johnson & Johnson, produttrice di un vaccino che va per la maggiore, che nel luglio 2019, poco prima della pandemia, avevano annunciato il positivo esito dello studio fase 2 del vaccino “mosaico” –  frutto cioè di bioingegneria – per l’Hiv.

Ma ora ci penserà Cia a dare le risposte che il mondo aspetta. Né è il caso di mettere in dubbio la loro imparzialità, che non hanno nulla contro la Cina, nonostante da alcuni anni i loro report la definiscano come la “minaccia” più grande degli Stati Uniti d’America.

Quando l’intelligence era cosa seria, e quando i giornali erano cosa seria, tutto questo sarebbe stato derubricato a pagliacciata. Altri tempi e va bene così.

La Cina è ovviamente infuriata. E ha chiesto a sua volta di indagare sui tanti indizi che suggeriscono che il virus circolava nel mondo prima della sua comparsa a Wuhan (sul punto abbiamo scritto note pregresse, prima degli sviluppi in questione). Ma ovviamente non si farà.

E di indagare sui “misteriosi laboratori biologici [americani ndr] sparsi in tutto il mondo”, che ovviamente non sarà fatto. Infine, il Global Times ricorda la simpatica battuta di Mike Pompeo, il quale, parlando dei suoi trascorsi a capo della Cia, ha detto: “Abbiamo mentito, abbiamo imbrogliato, abbiamo rubato” (video).

Indagini aggressive

Insomma, la guerra del coronavirus è destinata a durare ben oltre la fine della pandemia, dato che l’esito delle indagini Usa è alquanto scontato.

Basta leggere la dichiarazione di Amanda Schoch, vicedirettore della National Intelligence for Strategic Communications: “L’Intelligence Commitee continua a esaminare tutte le prove disponibili, a considerare diverse prospettive e a raccogliere e analizzare in modo aggressivo nuove informazioni per identificare le origini del virus”. Dove appunto la parola più importante è “aggressivo”.

Due le possibilità: una chiara responsabilità della Cina o un atto d’accusa più vago, utile a essere brandito, ma impossibile da sconfessare grazie alla sua aleatorietà, come accade spesso in tali casi.

Ciò darebbe nuove e più potenti carte in mano ai falchi anti-cinesi per chiedere alla patria una politica più aggressiva nei confronti di Pechino e all’Europa di tagliare i ponti, soprattutto finanziari, con questa.

C’è anche la possibilità di una richiesta di danni, tanto ingenti da mettere in ginocchio la Terra di Mezzo. Sul punto si interroga il Global Times, che però la immagina senza esito. Forse, a meno di non procedere alla confisca di beni cinesi all’estero, iniziativa più che incendiaria ma non impossibile in questo clima avvelenato.

The Atlantic in controtendenza

Di interesse, sul punto, quanto scrive The Atlantic, peraltro un media conservatore, in un’analisi in cui parte come assodata la teoria dell’errore del laboratorio di Wuhan. Se anche fosse vera, si legge, si tratterebbe di elaborare “una politica statunitense esattamente opposta a quella sollecitata dai falchi anti-cinesi”.

Infatti, “la Cina può non essere una superpotenza pari agli Stati Uniti, ma è decisamente troppo grande per permetterci prepotenze. Se qualche errore cinese ha creato la pandemia Covid-19, gli Stati Uniti non possono inviare cannoniere nello Yangtze per estorcere risarcimenti”.

“Se i laboratori cinesi non sono sicuri, gli Stati Uniti e il mondo devono trovare un modo per indurre la Cina a migliorare la propria sicurezza. E quell’imperativo implica di più cooperazione con la Cina, non meno. Implica un maggiore legame della Cina con l’ordine internazionale, migliori standard di salute e sicurezza transfrontalieri, più scienziati americani nei laboratori cinesi e più scienziati cinesi nei laboratori americani”.

“Non esiste una risposta ‘America First’ a una pandemia. Se la pandemia si fosse diffusa a causa della segretezza e della paranoia dei cinesi, muoversi nell’ambito della direttrice ”America First’ sarebbe una politica ancora più inutile e pericolosa di quanto già sembrava al tempo”.

 

Ps. Facebook, che fino a ieri censurava post contenenti la teoria del laboratorio, ci ha ripensato, cosa che evidenzia vieppiù il Potere “narrativo” del mezzo. Commentiamo l’iniziativa con le dichiarazioni del direttore di Microsoft Brad Smith, il quale ha allarmato sul rischio che lo sviluppo sfrenato (senza freni) della tecnologia precipiti il mondo in uno scenario orwelliano. Quanto profetizzato in 1984, ha detto, potrebbe avvenire nel 2024… non resta che associarsi.

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