28 Aprile 2018

Netanyahu, il neocon

Netanyahu, il neocon
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“Benjamin Netanyahu, ha ricordato Anshel Pfeffer, non vede il conflitto arabo-israeliano come un problema in sé, ma come parte integrante dello scontro di civiltà tra l’Islam e il mondo occidentale ( “La visione di Netanyahu, in 467 pagine”, 18 aprile). Israele per lui è la punta di lancia dell’Occidente di una lotta che dura da 1.500 anni”. Inizia così un durissimo articolo dello storico Zeev Sternhell pubblicato su Haaretz il 27 aprile.

Secondo Sternhell, il libro di Netanyahu  “A Place Among the Nations” (“Un posto tra le nazioni”), non è “nient’altro che propaganda, tesa a creare una copertura ideologica per perpetuare l’occupazione sponsorizzata dal neoconservatorismo americano nella sua forma più semplicistica”.

I palestinesi possono essere piegati dalla forza, prosegue lo storico, ma “dal momento che nessuna realtà può durare a lungo senza una copertura ideologica, e la narrativa biblica non si vende bene negli Stati Uniti al di fuori dei circoli evangelici”, il premier israeliano ha abbracciato la “tendenza neoconservatrice della fine del 20° secolo, fondata sulla difesa della Cultura occidentale”.

“Negli ultimi 300 anni”, spiega ancora lo storico israeliano, la cultura occidentale ha conosciuto due nuove visioni della politica: quella propria della democrazia liberale, “dell’illuminismo francese e britannico”, e quella che “subordina l’individuo a una comunità etnica e cerca legittimità politica nella storia”.

Quest’ultima tendenza si è affermata alla fine del XIX secolo “con i vari movimenti di destra nazionalisti e razzisti, tra cui quelli che si sono trasformati in fascismo e nazismo”.

Dai suoi studi americani il giovane Netanyahu non avrebbe assimilato la visione politica fondata sui diritti civili, ma quella propria del lato “oscuro della cultura politica americana”.  Quella cultura che, dopo la dichiarazione di indipendenza, ha legittimato la schiavitù dei neri per altri 100 anni.

“Questo approccio nazionalista radicale è ‘l’Occidente’ di Netanyahu, in cui trova la legittimità per la politica colonialista di annessione e oppressione”, denuncia lo storico.

La destra israeliana, dunque, “tratta gli arabi fondamentalmente come indigeni. Gli inglesi in Kenya e i francesi in Algeria hanno mostrato la strada. L’omicidio che si compie ogni settimana sul confine della Striscia di Gaza è una campagna barbara, che mostra la mentalità della società in nome del quale l’esercito agisce: possiamo fare tutto ciò che ci piace”.

Articolo durissimo, abbiamo accennato, e forse la controversia andrebbe declinata in altro modo. Nondimeno ci pare più che indicativo per evidenziare la complessità della battaglia di Gaza – ieri altri quattro morti e seicento feriti tra i manifestanti che si sono avvicinati al confine israeliano.

Tale battaglia non si combatte solo tra ebrei e palestinesi, ma anche all’interno dell’ambito ebraico. Tra quanti sostengono la necessità di intraprendere percorsi di pace e quanti invece negano spazi e agibilità a tale possibilità.

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