2 Maggio 2018

Lo show del "militante" Netanyahu sul nucleare dell'Iran

Lo show del "militante" Netanyahu sul nucleare dell'Iran
Tempo di lettura: 3 minuti

Lo  show di Netanyahu contro l’accordo sul nucleare siglato con l’Iran di ieri ha guadagnato le prime pagine dei giornali del mondo.

Il j’accuse di Netanyahu contro l’Iran e il fatidico 12 maggio

In diretta televisiva, il premier israeliano ha dichiarato che l’Iran mente: sta sviluppando l’atomica in violazione ai patti.

E ha portato una documentazione imponente, cartacea e non, sottratta a gennaio dall’intelligence israeliana all’Iran.

La tempistica della rivelazione non è casuale: il 12 maggio Trump deve decidere se rinnovare o meno l’accordo sul nucleare iraniano.

Il presidente americano lo ha più volte rinnovato, nonostante la sua avversione. Ma la recente nomina di John Bolton nella sua amministrazione indica una svolta, dato che questi è irriducibile avversario dell’accordo.

La sua decisione avrà un impatto notevole su un Medio oriente già incendiato.

Gli altri firmatari dell’accordo (Cina, Russia, Germania, Francia e Gran Bretagna) vogliono conservarlo. E hanno affermato che quanto rivelato dal premier israeliano non prova nulla, stante che documenta attività del passato e non violazioni attuali.

Ma se Washington esce dall’intesa, questa decadrà inevitabilmente.

Nulla importando quanto scrivono sul tema i quotidiani italiani, che contano nulla sui temi sensibili (è il destino dei media proni al potere), riportiamo i commenti dei giornali internazionali, in particolare quelli americani e israeliani, Paesi nei quali si gioca la partita vera.

I commenti dei media Usa e israeliani

L’editoriale del New York Times titola: “Il Flimflam di Netanyahu sull’Iran”, dove Filmflam può esser tradotto con “il fumo” o addirittura “l’imbroglio”. Titolo più che esplicativo.

Sul Washington Post ne scrive David Ignatius, il quale spiega che il “tesoro” di informazioni, ricavato grazie alla documentazione trafugata dall’intelligence israeliana, può aiutare a rinegoziare con l’Iran per realizzare un “accordo migliore”.

Al contrario, il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’intesa consegnerebbe una “vittoria” propagandistica a Teheran.

Il Jerusalem Post si schiera con Netanyahu, pur riportando le opinioni discordanti dell’Europa.

Ma è significativo che un articolo centrato sull’adesione dell’America alle tesi del premier israeliano concluda con quanto affermato da Trump in seguito alle rivelazioni: il fatto che egli sia contrario non significa che non negozierebbe “un nuovo accordo”.

Yossy Verter su Haaretz scrive che Netanyahu ha fatto uno show senza alcun contenuto: non c’era la “pistola fumante”, niente che provasse colpe attuali di Teheran.

E conclude spiegando che il premier israeliano dovrebbe “ascoltare di più il capo del Mossad, Yossi Cohen, e i capi dei servizi segreti, e meno i giovani mocciosi irresponsabili che gestiscono i suoi nuovi canali mediatici”.

Un “grande show” lo definisce anche Anshell Pfeffer, sempre su Haaretz, il quale aggiunge che Netanyahu ha dovuto cancellare quanto dichiarato di recente dal Capo di Stato Maggiore israeliano, il generale Gadi Eisenkot, il quale ha affermato che “in questo momento l’accordo, con tutte le sue pecche, sta funzionando e sta rimandando la realizzazione dello sviluppo nucleare iraniano di 10 o 15 anni”.

Una convinzione condivisa peraltro dalla “maggior parte dei capi dell’apparato di sicurezza” israeliano.

Allo show “mancava solo una cosa: dati cruciali che dimostrassero come l’Iran avesse effettivamente fatto qualcosa in contrasto” con il trattato.

Anche per Roy Rubinstein e Itamar Eichner, su Yeoditoh Aronoth, nell’esposizione di Netanyahu “mancava una cosa: la prova di una attuale violazione dell’accordo” da parte dell’Iran.

Significativo, nell’articolo, anche il commento di Soli Shahvar, esperto di Iran, che afferma che a Teheran si registra un “equilibrio” tra falchi e colombe.

E che “l’interesse iraniano è quello di evitare una guerra con un primo ministro israeliano militante e un presidente americano altrettanto militante”.

 

 

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