4 Febbraio 2022

Putin - Xi alle Olimpiadi e l'attrito Oriente - Occidente

Putin - Xi alle Olimpiadi e l'attrito Oriente - Occidente
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Diventerà iconica la foto di Putin e Xi alle Olimpiadi invernali di Pechino, perché fotografa la divisione del mondo tra Oriente e Occidente. L’immagine iconica della nuova guerra Fredda, più pericolosa della precedente, mancando le linee rosse che in passato hanno impedito al mondo un conflitto globale.

Tali linee in precedenza erano state stabilite a Yalta, cioè prima dell’inizio della divisione del mondo, ora esse dovranno stabilirsi attraverso i rapporti di forza e nei meandri del malmostoso disordine internazionale ereditato dalla premiership incontrastata e incontrollata degli Stati Uniti dopo il crollo del Muro.

Al contrario, la presenza di Biden avrebbe permesso di parlare di un nuovo ordine mondiale, in cui la sicurezza internazionale era assicurata da una convergenza di fondo delle tre potenze globali, pur nel reciproco antagonismo.

Ma Biden non ci sarà, essendo la Cina finita nell’albo dei cattivi a causa dei negati diritti degli uiguri, albo che non contempla i diritti degli yemeniti, che cadono come mosche sotto le bombe che l’America vende ai sauditi insieme ai suoi servizi di intelligence,, e ai diritti di tanti popoli falcidiati dalle sanzioni Usa che continuano a imperversare, e a mietere vittime, anche sotto la frusta del Covid.

Ma al di là delle bizzarrie della propaganda, resta appunto la fotografia della nuova Guerra Fredda, che oggi ha due punti caldi, laddove le linee di attrito sono tanto forti da scatenare scintille a rischio incendi.

Taiwan e Ucraina

Il primo è Taiwan, sul destino della quale la scorsa settimana Pechino ha emesso un raro quanto inusuale avvertimento: se gli Stati Uniti continuano ad armare l’isola e a sostenere le forze separatiste, c’è il rischio che la Cina faccia effettivamente quanto paventano i fautori di tali iniziative.

Cioè, abbandonando l’accordo “China One” come sta facendo la controparte – che prevedeva il riconoscimento di una sola Cina in cambio della desistenza di Pechino all’annessione dell’isola – essa proceda alla riunificazione per vie militari, anche a costo di sostenere un conflitto militare con gli Stati Uniti.

Ciò perché per la Cina il nodo Taiwan non è solo geopolitico, ma appartiene alla sfera esistenziale, perché sul destino dell’isola si gioca quello della Terra di mezzo. Cosa che sa perfettamente la controparte, che vellica le pulsioni separatiste proprio per tale motivo, con una pervicacia inquietante.

Sul secondo punto di attrito, l’Ucraina, abbiamo già annotato come l’Occidente sia diviso tra bellicisti e realisti e che il nodo ucraino può esser sciolto solo se a vincere lo scontro interno saranno questi ultimi.

Interessanti, sul punto, le parole di Victoria Nuland, che ieri ha ribadito quanto scritto nel documento Usa inviato a Mosca, ovvero che gli Stati Uniti riconoscono  le preoccupazioni riguardanti “l’indivisibilità della sicurezza” della Russia.

Tale formula è appositamente vaga perché possa ricomprendere una varietà di contenuti, e sta a significare che la sicurezza di un Paese non è data solo dall’assenza di minacce dirette, ma da diversi fattori (ad esempio di uno spazio esterno privo di minacce reali o percepite, come accadde per i missili dell’Urss a Cuba).

Dopo aver detto che anche l’America ritiene che alcune azioni russe abbiano minacciato e minaccino l’indivisibilità della sicurezza di altri Paesi e degli stessi Stati Uniti, il sottosegretario di Stato americano per gli affari politici ha aggiunto che occorre sedersi a un tavolo per cercare di conciliare le opposte esigenze in modo da “preservare la pace e la sicurezza” di entrambi i popoli (e del mondo, si può aggiungere).

Tali dichiarazioni sono state riprese da Itar Tass, un rilancio che ne sottolinea l’importanza, sia per i contenuti che per l’autorevolezza della Nuland, che ha una profonda conoscenza della crisi Ucraina, essendo stata protagonista dei giorni di Maidan.

Stati (dis)Uniti

Resta, però, che lo scontro sulla crisi ucraina in America è alle stelle. Di ieri, ad esempio, un insolito spettacolo alla conferenza stampa del portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price.

In tale sede Price ha rivelato che secondo l’intelligence la Russia starebbe approntando un’operazione di falsa bandiera, fabbricando prove di un attacco contro il Donbass che gli consentirebbe di invadere (si tratterebbe di filmati falsi, un po’ come quelli prodotti nel corso della guerra siriana per documentare gli asseriti crimini di Assad, creati questi per innescare un intervento Usa).

Il povero Price non si aspettava certo che uno dei giornalisti presenti, un’autorità come Matt Lee, che per di più lavora per l’Associated Press (la più importante agenzia stampa dell’America), gli chiedesse conto delle sue affermazioni, invitandolo a esibire le prove di quanto affermava.

Prove che non sono state prodotte, ovviamente, per ragioni di “sicurezza”. Una risposta che non è piaciuta affatto al cronista, che ha reiterato la richiesta, snocciolando alcuni pregressi “fallimenti” dell’intelligence Usa, che hanno dato informazioni errate (Washington Examiner e qui il video dello scambio di battute che rischiara il buio del prono giornalismo globale).

Ma a denunciare la frusta e frustrante propaganda sull’Ucraina sono davvero in tanti in America. Il Washington Times ospita una nota della controversa Marjorie Taylor Greene, esponente di punta del trampismo senza limitismo, in risposta a un tweet di Karl Rove (uomo dell’ombra del Deep State) contro i populisti Usa recalcitranti ad abbracciare la crociata contro la Russia.

“Karl Rove sta, ancora una volta, battendo sui tamburi di guerra. È pronto a mandare dei diciottenni come mio figlio a combattere la Russia armata di testate nucleari oltre il confine con l’Ucraina, così che lui e gli altri neocon possano parlare come dei duri in TV”.

Rove, continua la Taylor, “ama la guerra e l’economia globalista che sostiene tutte queste guerre”; egli “appartiene a quella élite di consulenti che non è mai ritenuta responsabile del fallimento delle loro decisioni. Solo il popolo americano ne subisce le conseguenze”. Anche il mondo, di permettiamo di aggiungere.

Fase controversa e interessante, ci torneremo.

 

 

 

 

 

 

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